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Il “Vannacci pensiero” sulle minoranze? Il riflesso costituzionale e cosa diceva Einstein

Giurista, saggista, editorialista
Generale Roberto Vannacci

Sono ormai mesi che l’opinione pubblica italiana sente parlare del “Vannacci pensiero” attesa la grande ascesa mediatica del Generale dell’Esercito italiano che ha pubblicato il libro “Il mondo al contrario”.

L’analisi che con questo articolo si vuole prospettare non è una critica destrutturante del libero pensiero altrui, ma un tentativo di comprendere il riflesso socio-politico-costituzionale dello stesso.

Il pensiero del Generale sul tema delle minoranze è intuibile usando il concetto di “normalità” a cui il militare predetto fa richiamo.

Per quanto il discorso lessicale, statistico o etimologico possa sembrare legato ad un’argomentazione più ampia che Vannacci, a più riprese (televisive e non), ha cercato e cerca di spiegare, si auto-conduce ad un immiserimento costituzionale.

Quando si parla di “immiserimento costituzionale”, va chiarito anzitutto che il pensiero libero della persona non è di per sé misero od indegno ma, giustappunto, immiserito cioè attaccato da una degenerazione (non regressiva) evolutiva della sua dimensione in un certo luogo di esercizio democratico.

Detta così potrebbe sembrare troppo tecnica e difficile da comprendere, ma il tutto si riconduce a quel che in politologia si chiama “dittatura delle maggioranze” (il contrario della “dittatura delle minoranze” a cui il Generale ha fatto più volte riferimento) nonché al “superamento improprio di genere” quale fenomeno attenzionato nel diritto costituzionale riguardo all’equilibrio democratico a cui si ispira il principio di eguaglianza (secondo l’art. 3 della nostra Carta Fondamentale).

Ebbene, l’immiserimento costituzionale del concetto di normalità a cui si fa riferimento sta nel discorso statistico posto a base dell’idea delle politiche pubbliche che si vorrebbero indirizzare.

Quando la normalità è un fatto statistico, il ragionamento costituzionale operato dai Padri e dalle Madri costituenti rischia di venir meno.

Tale rischio avviene per almeno due motivi:

  • la maggioranza, se titolare di normalità (sempre secondo il Vannacci pensiero), non avrebbe interesse a rimuovere gli ostacoli che limitano le c.d. parità di chance;
  • la minoranza, se reietta (ovverosia abbandonata, allontanata dalla convivenza e dalla condivisione civile), può vivere nella sofferenza cronica e, ipoteticamente, avere atteggiamenti reazionari, rivoluzionari, estemporanei, estremi che la maggioranza soffocherebbe poiché non normale appunto.

È il metro della sofferenza delle minoranze, quindi, che ha ispirato i Costituenti quando hanno partorito l’articolo 3 della Costituzione. Ed è tale articolo che ispira tuttora, ad esempio, le politiche pubbliche di integrazione di genere: un grande esempio di ciò è la famosa Legge Golfo-Mosca n. 121/2012 per l’equilibrio di genere nelle società a partecipazione pubblica. Legge, quest’ultima, che parte da un elemento di valutazione legislativo di profondità (cioè la dignità rappresentativa) e non di larghezza (cioè la statistica di maschi al potere o al comando nelle società a partecipazione pubblica).

Se ci affidassimo al concetto statistico di normalità, allora, ci sarebbe un’inversione e la questione si ribalterebbe contro la teoria portata avanti dal Generale se si prendesse a riferimento non il rapporto eterosessuali-omosessuali, ma bastando già quello maschi-femmine.

Secondo l’Istat, al 1° gennaio 2022, in Italia risiedono 58.983.122 persone di cui solo il 48,7% sono uomini mentre il 51,3% sono donne e l’8,8% sono persone con cittadinanza straniera.

Se tanto ci da tanto, dovremmo teorizzare un’altra cosa: le donne nonostante il 51% sono pochissimo rappresentate concretamente nelle sedi di potere, nelle amministrazioni, nei luoghi societari nonché rispettate economicamente sul piano salariale, ecc.

Come la mettiamo, dato quanto sopra, con il concetto di normalità difronte a questa discrepanza evidente?

Dovrebbero dimettersi tanti uomini da certi impieghi, incarichi, ecc. per rispettare il momento statistico-evolutivo.

Detta ipotesi gioverebbe al “superamento proprio di genere” (contraltare a quello improprio di cui si parlava innanzi).

Ma così, tuttavia, si farebbe il comodo del principio di immiserimento costituzionale dal momento che se tutte le donne marciassero su Roma, per effetto del principio di maggioranza, potrebbero imporre un mondo al contrario opposto a quello teorizzato e che si tenta di esaminare.

La dimensione della normalità, quindi, non è un fatto statistico e rigidamente legato alla contestualizzazione consuetudinaria. È un falso argomentativo se il concetto di normalità si ferma al dettato eventualmente lessicale, ma non etimologico.

Se si prende a riferimento l’etimologia ci si può rendere conto che per norma si intende “regola, cosa per far conoscere, che tiene alla stessa radice, modello, ordine, costume”.

Ebbene è dall’etimologia che la nostra Costituzione prende forza come ordine, modello, radice evolutiva nel momento in cui afferma che “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Ciò che è normale secondo il nostro modello costituzionale, in definitiva, è che le maggioranze del potere contemperino le loro aspirazioni di larghezza con delle autolimitazioni per equilibrare le profondità dei diritti e delle libertà riguardo alla persona umana quale centro gravitazionale del pieno sviluppo.

Quindi la maggioranza, per non cadere nel vortice ingolosito dell’estremo potere supportato dalla statistica si allena a porsi un freno col fine di rispettare l’equilibrio a cui la Costituzione tende per non isolare e ghettizzare le minoranze.

Detto passaggio argomentativo rappresenta la normalità evolutiva che si discosta sul piano politico-costituzionale, sociologico, psicologico di massa, antropologico, ecc. dalla normalità primitiva ovverosia quella che nel mondo giuridico si chiama “legge del più forte”.

È per questo che nascono le Carte fondamentali nelle dimensioni democratiche: proprio per evitare che il più forte (il machista per esempio), ma non il più rappresentativo nella realtà, domini sugli altri abitando dentro sé stesso l’autoritarismo della maggioranza senza, però, averla davvero domesticarla come metro di scelta del popolo (se posto in condizione libera ed effettiva di votare ad esempio) che non è costituito solo dalla maggioranza medesima.

Il grande Albert Einstein riteneva questo tentativo dell’uomo come storicamente ciclico tanto da affermare, in tema di minoranze, che “è un fatto universalmente riconosciuto che le minoranze (specialmente quelle formate da individui riconoscibili per particolari tratti fisici) vengano trattate dalle maggioranze in mezzo alle quali vivono come fossero composte di esseri inferiori. Il tragico di questa situazione non consiste solo nell’ingiusto trattamento cui, sia sul piano sociale che economico, vengono sottoposte tali minoranze, ma anche nel fatto che, suggestionate dalla maggioranza, molte delle stesse vittime divengono schiave di quel pregiudizio, riconoscendo nei loro simili degli esseri inferiori. Questo secondo e più grave aspetto del male può essere superato attraverso un più intimo senso della collettività e attraverso un’adeguata opera educativa nelle minoranze. Per questa via si potrà così giungere a una loro liberazione spirituale. I risoluti sforzi dei nei d’America in questo senso meritano la nostra approvazione e il nostro aiuto”.

La considerazione di Einstein è ancora attuale e grida al mondo il pericolo dell’immiserimento umano tramite le strategiche attività di coloro che, nel rifugiarsi nell’intimo e falso concetto di normalità, vorrebbero che il mondo fosse davvero al contrario rispetto a quel che denunciano per farsi proclamare liberatori del male altrui.

In definitiva, poi, ritenere gli omossessuali non normali significa non conoscere neanche la storia. E tale elemento sul piano militare è un punto a sfavore se si vuole avere classe e professionalità piuttosto che una classe di adepti a cui insegnare ciò che si ritiene normale.

Il Vannacci pensiero, perciò, non è nuovo. Si radica nei corsi e ricorsi storici.

Di contro, Einstein è più attuale e vale per il futuro. Ancora una volta.