Il 15 ottobre 2025 l’Italia celebra il centenario della nascita del Servizio Informazioni Militare (SIM), istituito con regio decreto nel 1925. È la prima volta che la nostra Repubblica dedica un anniversario ufficiale all’intelligence, riconoscendone apertamente il ruolo cruciale nella storia dello Stato. Un secolo di spie, di analisi, di equilibri geopolitici e morali, sintetizzato in due simboli: un francobollo commemorativo e una moneta d’argento da cinque euro, emessi per ricordare non solo un’istituzione, ma una funzione permanente della sovranità nazionale. Eppure – osserva Mario Caligiuri, presidente della Società Italiana di Intelligence e direttore del master in Intelligence dell’Università della Calabria – il 1925 è una data simbolica più che reale. “L’intelligence italiana non nasce nel Ventennio – spiega Caligiuri – ma accompagna la nostra storia fin dall’Unità d’Italia. Già nel 1861, con l’istituzione del Regio Esercito e delle prime strutture di informazione militare, lo Stato sabaudo aveva compreso che conoscere era il primo passo per difendere”.
Dalle guerre mondiali alla Repubblica
Il SIM operò fino al 1945, raccogliendo e analizzando informazioni militari, ma anche svolgendo missioni di controspionaggio. Il suo ruolo fu determinante durante le guerre mondiali, anche se spesso avvolto da ombre e controversie. Con la nascita della Repubblica, la funzione informativa passò prima al SIFAR, poi al SID, fino al SISMI e al SISDE, nel quadro della riorganizzazione postbellica voluta per adattare i Servizi ai principi democratici e alla nuova collocazione dell’Italia nello scenario internazionale. Il 1977 segna una tappa decisiva: con la legge n. 801 nasce il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, con l’obiettivo di separare le competenze militari e civili. È il passaggio dalla logica della segretezza assoluta a quella della trasparenza istituzionale, fondata sul controllo parlamentare e sull’idea che l’intelligence non sia solo difesa, ma anche conoscenza al servizio del Paese.
Dal terrorismo alla minaccia digitale
Negli anni di piombo i Servizi si trovarono di fronte a sfide interne: il terrorismo rosso e nero, le infiltrazioni straniere, i conflitti sotterranei della Guerra Fredda. Oggi, a distanza di un secolo, lo scenario è radicalmente mutato. Le guerre non si combattono più solo sul terreno, ma anche nel cyberspazio: la sicurezza si gioca sui flussi di dati, sulle piattaforme social, sulla protezione delle infrastrutture critiche. “L’intelligence contemporanea – sottolinea Caligiuri – è prima di tutto cultura strategica. Non basta più raccogliere informazioni: bisogna saperle interpretare. Il vero campo di battaglia è la mente delle persone, l’opinione pubblica, la capacità di orientare le scelte attraverso la conoscenza”.
L’intelligence come educazione civica
Da anni Mario Caligiuri sostiene che la cultura dell’intelligence debba entrare nelle scuole e nelle università, perché riguarda tutti i cittadini. Non è solo un apparato tecnico, ma una forma di pensiero critico che insegna a distinguere tra verità e manipolazione, tra libertà e sorveglianza. In questa prospettiva, il centenario del SIM non è solo una ricorrenza storica, ma un invito a ripensare il valore della sicurezza democratica nel XXI secolo. “Conoscere per deliberare, come diceva Einaudi. L’intelligence è questo: la capacità di capire prima, per agire meglio”.
Un anniversario per guardare avanti
Celebrare cento anni di intelligence significa ricordare che la sicurezza nazionale non si fonda solo su eserciti e tecnologie, ma sulla responsabilità etica di chi osserva, analizza e decide nell’ombra. È un mestiere difficile, spesso ingrato, ma indispensabile. Un secolo dopo la nascita del SIM, l’Italia si ritrova a riflettere sul suo passato segreto e sul futuro della conoscenza strategica in un mondo dove la guerra è ibrida e l’informazione è la nuova arma. Forse, come suggerisce Caligiuri, avremmo dovuto festeggiare non cento, ma centosessantacinque anni di intelligence italiana, riconoscendo che la storia della nostra sicurezza coincide con quella della nostra unità nazionale. Un secolo di ombre, sì — ma anche di luce, perché senza conoscenza non c’è libertà.
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