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La fumata era bianca. Un racconto. 10

Giornalista e saggista
Monte Mario visto da Piazzale Clodio
Monte Mario visto da Piazzale Clodio

Riassunto. Il nuovo Papa Lino Secondo è in carica da qualche tempo. Ma non riesce a governare in modo efficace. E va dalla psicologa.

«Bene che ne dici di cominciare dal principio? Una parte della storia credo di conoscerla, almeno stando a quanto hanno raccontato i mass media. Mi manca la parte che ti riguarda più da vicino cioè sapere come ti senti e come hai vissuto questa fase».

Il Papa sospirò, una volta e poi una seconda.

«Ho le idee confuse, lo ripeto. Non voglio annoiarti con le questioni teologiche e pratiche che riguardano questa difficile fase della vita della Chiesa. E poi quando ci penso facendo ricorso alla pratica clinica di un tempo, capisco che neppure sono così importanti. Si tratta di sovrastrutture che ci diamo. Mi ripeto che ho il compito di guardare prima alle persone e poi alle teorie. Vale anche con la teologia: è sempre fatta da individui concreti e la loro ricerca teorica è collegata con la vita e le scelte che hanno compiuto. Comunque cerco di riassumere. Quello che hai letto è tutto vero. L’elezione è avvenuta in modo inaspettato ed ha sbloccato una fase di stallo veramente lunga e pericolosa perché portatrice di ulteriori divisioni. All’inizio avevo pensato di rifiutare, poi all’improvviso mi è venuta l’idea di prendere tempo, di fare un primo gesto di normalità e tornare a casa per congedarmi dalle persone vicine. Un gesto di normalità ed allo stesso tempo di rottura per fornire un primo segnale per dire che qualcosa deve cambiare, doveva cambiare».

«Sì mi è sembrato interessante. Un modo per prendere tempo e sottolineare che c’è un aspetto personale in ognuno anche quando viene chiamato a ricoprire una carica pubblica che nel tuo caso sarà per tutta la vita».

«Hai colto nel segno. Tuttavia i problemi ed i dubbi, per me, quelli veri, sono cominciati dopo. Prima conoscevo le difficoltà di governare, avendo a che fare con una diocesi piuttosto ampia e dovendo tenere dei rapporti con uno stato certo non tenero verso la Chiesa. Conosco certamente anche la portata delle nostre dispute teologiche e pastorali e devo dire che possono diventare appassionanti. Tuttavia il punto è che da Papa qui a Roma, in Vaticano, ho cominciato a maturare una percezione diversa della realtà. Più raccapricciante. Il sistema di governo non solo è più complesso, anzi dire così è un volgare eufemismo. Il centro del potere, come lo vogliamo chiamare, qui in Vaticano, è un gorgo senza fine di emozioni non dette, espresse in maniera trasversale, di arrivismi mascherati. Mi sono trovato immerso in un mondo sottilmente ipocrita, dove la struttura prende il sopravvento e le persone cambiano a causa del ruolo che ricoprono, fino ad arrivare all’ultimo e più umile impiegato del Vaticano o prete minutante della segreteria di stato. Anche questo lo sapevo in qualche modo, lo avevo visto all’opera in diverse situazioni. Tuttavia qui la pressione è più forte. Posso prendere tutte le decisioni che mi sembrano necessarie ed utili; prima di decidere posso consultare tante persone, magari trovare tutti d’accordo con me. Salvo poi verificare che ogni effetto concreto viene vanificato, annegato ben bene dentro una rete di sotterfugi, di ritardi, piccoli intoppi, sottili inefficienze, modi di lavorare e pensare oramai consolidati e fatti apposta per non cambiare. Ti sto annoiando?».

«Non mi dici niente di nuovo. Stai sottolineando che le istituzioni non cambiano. Del resto stanno lì apposta per non cambiare o per cullarci nell’illusione di un cambiamento che non avviene. Hai chiesto la mia opinione, no anzi una consulenza professionale. In base al lavoro che abbiamo svolto tanti anni addietro, sappiamo che noi stessi dobbiamo cambiare per primi, non dobbiamo e non possiamo aspettarci che lo facciano gli altri».

«Per questo ti ho telefonato. Mi è tornata in mente una frase che a volte mi dicevi, di uno scrittore italiano del passato: cambiare tutto per non cambiare niente. Ho scoperto quanto sia vero». «Sì mi ricordo, era una sera dopo una giornata particolarmente faticosa e non so come ci siamo ritrovati a parlare della Sicilia e del Gattopardo. Ma lasciamo andare i ricordi! Dunque hai scoperto un volto del potere che pensavi non esistesse? Hai sottovalutato la forza negativa dell’istituzione e sei in difficoltà».

«Hai colto nel segno, come sempre. Mi sento paralizzato ed impotente. Non so cosa fare».

«Certamente è difficile fare qualcosa, soprattutto se non ti sforzi di vedere dentro di te. Ho l’impressione che voler cambiare le istituzioni sia una pretesa forse magica, onnipotente direi, per restare in tema. Ti stai lamentando che tu stesso non cambi o forse che la tua vita è cambiata tanto, troppo, in maniera repentina e vorresti che altri facessero la tua parte?».

Papa Lino Secondo restò in silenzio a fissare un punto nella stanza davanti a lui. Poi si volse ad incrociare lo sguardo mite della sua anziana collega e amica di un tempo. «Probabilmente hai ragione. Tuttavia sono in grande difficoltà. Da una parte mi rendo conto che ci sono degli aspetti personali in ogni tipo di incarico, anche nel mio. Allo stesso tempo devo intervenire perché altrimenti si prolunga una paralisi dannosa. E ritorno al punto di partenza perché in questa situazione se le decisioni sono solo mie, allora vengono vanificate dalla resistenza».

«E non sai cosa fare. Lo capisco benissimo. La soluzione tentata è in qualche modo generatrice del problema che vuoi risolvere e non riesci. Penso tuttavia che non puoi pretendere dei cambiamenti dalle persone. Tu puoi cambiare, non puoi costringere nessun altro. E non puoi entrare a forza nella macchina che ti è stata affidata. Ti è stata data una vettura ma non le chiavi giuste e non puoi rompere il vetro per entrare. Devi trovare le chiavi giuste, se permetti di forzare un po’ l’analogia».

Il silenzio divenne percettibile. Lei aspettava, lui era scosso. Poi il Papa si alzò.

«Devo andare. Ti ringrazio molto. Mi hai aiutato a riflettere. Scusa se ti sembro distante e forse scortese. Non è così, è il peso di questa responsabilità e l’urgenza di trovare un difficile equilibrio dentro di me. Fare il Papa non significa essere Papa e le due cose non devono entrare in conflitto con me stesso. Mi verrà in mente qualcosa!».

10 – continua. La prossima sarà l’ultima puntata di questa parte del racconto.