“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”, sembrava essere il motto di Queen Giorgia pronunciato al momento della sua irruzione prepotente, ma elettoralmente meritata, nella politica che conta.
Decisa, determinata, con le idee chiare, senza sconti a nessuno dei suoi discoli alleati, la Meloni annunciava che la sua marcia sarebbe stata una inarrestabile cavalcata nel segno dell’efficienza per realizzare il bene del paese.
E sembrava dovesse essere proprio così a cominciare dalla formazione dell’esecutivo, decisa in un tempo da flash dance, tanto da rendere patetici i “guazzabugliosi” tira e molla dei tanti governi che l’avevano preceduta.
Ma poi il gioco si è fatto duro e invece…
E già perché in ogni storia c’è sempre un “invece” che toglie il buco alle ciambelle e mostra nudo il re, pardon la regina, seduta sul trono.
…e invece è arrivata la legge di bilancio, con i suoi tempi rigidi e con le sue modalità pure. Perché con i conti non si scherza e se non si fanno bene, e nei tempi previsti, saltano tutti i piani del paese e le tante promesse, i tanti progetti e i tanti sogni coltivati e propinati in campagna elettorale vanno a farsi benedire.
E così siamo tornati al passato. Una maggioranza litigiosa, compatta come un budino, in disaccordo su tutto e in accordo su nulla nonostante i supernumeri parlamentari, è arrivata al 21 dicembre senza che in commissione sia stato approvato uno, dico uno solo, degli emendamenti proposti e in buona parte anche concordati con il governo. E la cosiddetta manovra deve ancora passare al Senato, entro il 31 dicembre!
E “invece”, appunto, questa maggioranza non è diversa, anzi peggio, di quelle dell’altra sponda dell’aula della Camera che l’hanno preceduta. Siamo alle comiche. Giorgetti bolle e la premier tuona che porrà la fiducia sul testo così come approvato dal governo senza alcuna modifica.
Alla faccia della democrazia! Ma il 31 dicembre incombe e l’esercizio provvisorio sarebbe un’onta insopportabile per chi ha fatto dell’efficienza il proprio segno distintivo dai guasti del passato e di chi l’ha preceduta.
Però, però…i duri si sono squagliati proprio quando il gioco si è fatto duro. E la cosa non fa ben presagire per il futuro del paese.
Perché questa cosa del decisionismo, della rapidità nelle scelte, della compattezza del suo esercito parlamentare, era quello che aveva fatto sognare gli italiani e che ancora oggi continuano a darle fiducia. Ma forse il vulnus è proprio questa marcia inarrestabile nei sondaggi che le assegnano cifre travolgenti rispetto al baratro degli alleati.
E già, perché della cosa non se ne parla, ma che niente niente le intemperanze di Lega e Forza Italia siano state le prime spallate ad un governo che premia senza misure Fratelli d’Italia e condanna gli altri due ai “prefissi telefonici”?
Del resto, diciamocelo, far durare o garantire una vita serena a un governo che ogni giorno mi toglie mezzo punto nei sondaggi è da suicidio. O no?
Se così fosse si tratterebbe di vere e proprie avvisaglie molto pericolose perché di giochi duri, all’orizzonte, se ne profilano altri.
Dai rapporti con l’Europa alle crisi internazionali, dal Pnrr alle riforme da fare, in materia di sanità e giustizia in primis. Ma se di duri da mandare in campo non se ne vedono e se non ce ne saranno…ça va sans dire.
Sapere quale sarà il futuro è una prerogativa solo di Paolo Fox ma la sensazione è che vivremo altri momenti difficili e di alternative all’orizzonte non se ne vedono visto che le percentuali del più grande partito della sinistra stanno crollando nel profondo rosso e che oggi il secondo partito del paese è quello guidato da Conte. Mamma mia!
Roba che il film “Armageddon” a confronto sembra una favoletta per bambini.
Ma in fondo un popolo ha sempre la classe politica che si merita.
A proposito di film, l’aforisma When the going gets tough, let the tough get going, che abbiamo sentito pronunciare da John Belushi non nasce dal copione di Animal House. Il motto è attribuito a uno dei più famosi allenatori di football americano, Frank Leahy, e lo avrebbe pronunciato per la prima volta nel 1954, in occasione di una partita difficile, per incitare i suoi giocatori e poi divenne molto frequente nel lessico familiare dei Kennedy: pare, infatti, che fosse ricorrente nei discorsi del capostipite Joseph P. Kennedy, uomo d’affari e padre del presidente John F. Kennedy.
E quelli erano dei “duri” davvero.
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