Lampedusa sta registrando flussi migratori incessanti ed incredibili. Tuttavia non c’è da meravigliarsene perché con Malta, si tratta dell’isola di approdo più facile per chi parte dalle coste africane prospicenti sul meridione d’Italia. Quando ci fu il flusso albanese non è che si poteva pensare che quest’ultimi arrivassero in Sicilia. Era ovvio che si indirizzassero verso la Puglia.
Quindi c’è di fatto un flusso migratorio che mira all’approdo più sensato in quell’ottica di ricerca di una vita migliore il prima possibile.
C’è però da differenziare che:
- un conto sono i migranti economici;
- altro sono i richiedenti asilo;
- altro conto sono coloro che vogliono andare via dal Paese di origine per mete che assicurano il rispetto dei diritti inviolabili pur non essendo perseguitati;
- altro conto ancora è chi si sposta, pur imbarcato nelle condizioni di fortuna che conosciamo, per entrare illegalmente in uno dei Paesi dell’Unione Europea con l’idea di aggirare transiti ufficiali (un esempio su tutti il migrante che riesce a pagare 10.000 dollari tutto il tragitto).
Sui primi due ci sono regolamenti comunitari ben chiari: il Frontex (Reg. UE n. 2016/1624) e il Dublino III (2013/604).
Sulle altre due ipotesi il diritto nazionale dei singoli Paesi UE dovrebbe disciplinare gli ingressi e punire penalmente il resto. Ma come sappiamo è tanto difficile che si percepisca lo stato dell’arte.
La questione, tuttavia, è ripartire le competenze del problema sotto un occhio di analisi che va dal geopolitico al giuridico che, loro volta, sono l’essenza della scelta politica.
Nel dare sostegno all’Italia per il drammatico ed impegnativo momento che “l’isola dei diritti umani” sta vivendo più di tutti nel nostro Paese (ma anche a livello europeo), Von der Leyen, in visita a Lampedusa con Giorgia Meloni, ha proposto un piano UE in 10 punti:
- supporto concreto all’Italia attraverso Frontex;
- trasferimento dei migranti da Lampedusa verso altre destinazioni con meccanismo volontario di solidarietà;
- supporto Frontex per rimpatri;
- lotta contro i trafficanti anche attraverso un rafforzamento della normativa e una maggiore collaborazione con i Paesi di origine e transito;
- intensificazione della sorveglianza aerea e navale attraverso Frontex ma anche valutando la possibilità, come chiesto dall’Italia, di nuove missioni navali tipo Sophia;
- garantire che le imbarcazioni utilizzate per il traffico di esseri umani vengano sequestrate e distrutte;
- Agenzie Ue per l’asilo in aiuto alle autorità italiane al fine di accelerare l’esame delle domande;
- rafforzamento dei corridoi umanitari;
- garantire sempre la protezione dei migranti anche durante i ritorni assistiti;
- definizione di nuovi progetti per la lotta ai traffici illegali di migranti con la Tunisia.
Dieci punti di assolute buone intenzioni, salvo qualche riflessione che si innesca riguardo alcune cose da chiarire.
Esiste già l’art. 14 del regolamento UE “Frontex” che disciplina la materia riguardo al c.d. “principio di non respingimento”.
Lo stesso regolamento spiega, poi, come si effettui la gestione integrata delle frontiere stabilendo esserci una responsabilità condivisa alla base della gestione migratoria.
Quindi, buona parte della proposta UE di Von der Leyen è di natura politico-economica cioè orientata a dare più risorse finanziarie all’Italia (in qualche modo di troverà la formula) cercando, al contempo, di garantire maggiori risorse umane di supporto strategico.
Tale ragionamento vale per le proposte di cui ai punti 1, 3, 4, 5, 7, 9.
Il vero problema giuridico è per gli altri punti.
Per il rovescio della medaglia, è il regolamento di Dublino del 2013 il nocciolo della questione italiana (che vale, quindi, anche per altri Paesi UE con affaccio sul mediterraneo): tale regolamento impone il principio generale per cui il migrante che arriva in Europa non può decidere in quale Stato presentare la domanda. L’effetto di questa normazione vuole che lo Stato membro competente sia quello che svolge il ruolo maggiore nella procedura d’ingresso e di soggiorno per l’asilante nel territorio UE.
Traduzione plastica di quel che sta accadendo all’Italia: un vero e proprio ingolfamento burocratico riguardo alle pratiche dei flussi migratori che, così facendo, alimenterebbe un rischioso collasso sistemico e prima ancora umanitario (vedasi Lampedusa e Porto Empedocle).
Questa “formula capestro” del regolamento di Dublino III, pensata in un momento storico diverso rispetto a quello atuale, è una crepa evidente.
Se aggiungiamo poi che per la redistribuzione dei migranti, al netto delle quote obbligatorie stabilite, i Paesi UE devono manifestare la c.d. “solidarietà volontaria”, allora, non si tratta di verificare i presupposti di un possibile collasso sistemico dell’accoglienza italiana, ma di allarmare tutto il mondo comunitario verso l’ipotesi implosione.
Se il regolamento Frontex, grossomodo, mantiene alta la soglia di solidarietà condivisa quanto a controllo, è il regolamento di Dublino che va cambiato urgentemente. Tutto il peso della gestione umanitaria del migrante non può sopportarla il Paese di approdo. È impensabile che sia sostenibile nel lungo periodo (e figuriamoci nel breve dato quel che sta accadendo)
A rigor di storia, nel 2018, una volta insediatosi il Governo Conte I, l’Unione Europea era pronta a modificare il regolamento Dublino III, ma nel Consiglio Europeo di fine giugno non si giunse ad un risultato. Il motivo di fondo? La riunione preparatoria del Consiglio, composta dai ministri degli Interni dei singoli Paesi e tenutasi il 5 giugno in Lussemburgo, finì con aspre divisioni tanto più considerando il palese no alla riforma da parte dell’allora Ministro Salvini sull’onda di alcuni Paesi di Visegrad.
Ora, se consideriamo i dati sulle migrazioni riportati nella bozza di riforma del regolamento di Dublino III del 2018 (proposta all’epoca dalla Bulgaria), in sede UE si raggiunse un minimo accordo su altri binari. Ma un dato era ed è significativo: che in quel Coniglio europeo, compresa l’Italia, si accolse l’idea dell’approccio globale alle migrazioni e si accettò il dato per cui vi era un meno 95% di flussi migratori rispetto alla crisi del 2015.
Un dato così importante che fa pensare a quanta differenza ci sia stata rispetto ai profughi ucraini generati dall’aggressione russa.
Di contro, l’analisi impone di considerare che i decreti sicurezza del Governo Conte I, voluti dall’allora Ministro Salvini, abbiano solo creato un mare di problemi giuridici nell’ottica di armonizzazione europea. Non trascurandosi il fatto che il meno 95% di cui sopra non era neanche merito della politica muragliatoria (o accennatamente blocconavalista) portata sul piatto di Palazzo Chigi quando c’era Giuseppe Conte presidente.
Cosa può fare oggi l’Europa in una nuova ottica geopolitica?
Fare accordi con Stati che è certo non abbiano più ascendente politico sui cittadini (e figuriamoci sui trafficanti di persone) non ha corposità per quanto gli stessi accordi siano utili come forma e sul piano internazionale del “pacta sunt servanda” (i patti vanno rispettati).
L’Unione Europea può fare due cose (sbrigandosi): accelerare nel chiedere ai Paesi membri di concedere di più al ruolo centrale dell’UE riguardo alla gestione migratoria e coinvolgere l’ONU per andare in Africa ed intavolare politiche di stabilizzazione e progresso umanitario: diversamente, la disperazione continuerà a muoversi per cercare l’isola dei diritti umani.
Che si chiami Lampedusa o Unione Europea poco cambia.
Sperando non diventi presto o tardi “l’isola che non c’è”. Più.
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