Ed è di nuovo Natale, una festa che si rinnova ogni anno ma che ogni volta è sempre diversa. La corsa ai regali e gli affanni alla ricerca di menù sofisticati ci danno la sensazione che sia sempre la stessa ma non è vero.
È facile dimenticare ma è stato solo “l’altro ieri” che abbiamo trascorso il Natale con i lucchetti alle porte di casa, le strade deserte, i negozi vuoti e i bar e i ristoranti che offrivano poche prelibatezze mortificate dalle patetiche plastiche dell’asporto, mentre nelle case le tavolate erano vuote d’affetto, limitate a pochissimi commensali rigidamente selezionati dal grado di parentela. Era il 24 dicembre 2020.
Ed è stato appena “ieri” che abbiamo trascorso i giorni delle feste palleggiati tra una seconda e una terza dose di un vaccino che, con sorrisi rassicuranti, giovani infermiere ci hanno somministrato e poi, con gli occhi dolci di speranza, ci hanno accompagnato mentre i nostri passi ticchettavano sui parquet dei palazzetti trasformati da tempietti dello sport ad ambulatori giganti. Ed era il natale 2021.
Tante sono le cose successe in questo spazio di tempo, ben più di quanto le 365 pagine del libro intitolato “2022” possano contenere. Se la trama non fosse ispirata a una sorta di neo verismo di verghiana memoria sembrerebbe il titolo di un romanzo di fantascienza.
Resisto alla tentazione di incedere a leziosi richiami del cuore ed evito di parlare dello scudetto del Milan. Parimenti potrei, sempre rimanendo su temi leggeri, parlare del disastro della nazionale di calcio che ha inflitto ai tifosi azzurri la umiliazione di restar fuori, per la seconda volta, dai mondiali resa ancor più mortificante dal fatto che, per numeri di trofei vinti, siamo la seconda potenza calcistica del globo.
Ma non sarebbe giusto di fronte alla drammaticità degli eventi che da quello storico 9 marzo 2020 hanno preso l’avvio flagellando non solo noi, ma l’intero pianeta. E tutto quello che nella politica italiana, ma anche in quella mondiale, si è successivamente verificato è dipeso esclusivamente da quegli eventi.
Cercando di riprendere per i capelli una economia che era ormai ben oltre il ciglio di un precipizio senza fondo, tutti gli sforzi sono stati rivolti a curare ferite che si disperava di poter rimarginare, mentre cercavamo di comprendere se i disastri economici sarebbero potuti essere più gravi di quelli sanitari e se, al drammatico pianto che accompagnava l’ultimo saluto alle tantissime vittime della pandemia, si sarebbe unito quello di tantissimi vivi che piangevano il fallimento delle loro attività nel dolore di varcare le porte dell’indigenza.
Sembrava una apocalisse che stesse travolgendo l’umanità e che nel day after ci avrebbe reso un mondo che non sarebbe mai stato più come quello di prima. E invece non è stato così.
Se più o meno dappertutto ce l’hanno fatta il merito è indiscutibilmente del desiderio della gente di tornare a vivere e di chetare un inarrestabile bisogno di normalità.
Anche perché la politica non sempre e non ovunque è stata all’altezza.
E del resto cos’altro potremmo pensare dei politici quando in un mondo che sta faticosamente facendo pace con sé stesso c’è qualcuno che, fingendo di dimenticare che esistono i tavoli della diplomazia e del confronto, scatena carri armati e bombardieri ridando una feroce spallata ad una economia che stava appena riprendendo a respirare. E per favore non si ricominci con il balletto delle colpe di Putin o delle provocazioni di Zelen’skji. Per favore non scatenatami l’insulto rispondendomi con ragionamenti da tifo da stadio. Quello che succede in Ucraina non è una questione di torti o ragioni è una questione di metodo. Pensare di dirimere contrasti o di affermare le proprie ragioni disertando il tavolo delle trattative, o partecipando con l’occulto intento di farle fallire, per lanciare le bombe è da criminali.
E che bisognerebbe dire poi di una politica nostrana che a pochi mesi dalla rielezione di un Presidente, da ammirare per la sua statura morale, etica e politica ma riconfermato purtroppo solo perché non si è stati capaci di trovare un successore, decide di far cadere un governo ai primi di agosto obbligando un paese, che avrebbe avuto tutto il diritto alla serenità del riposo, di subire l’avvio delle operazioni elettorali a ferragosto e il fastidio di una campagna elettorale con il solleone? E tra l’altro il tutto a pochissimi mesi dalla scadenza naturale della legislatura. E non certo perché chi stava governando meritava di essere cacciato. Anzi!
Se dobbiamo gratitudine a qualcuno per il contributo alla ripresa dell’economia alternatosi con saggezza tra l’asprezza del rigore e la dolcezza della benevolenza è proprio per il premier che ha guidato il paese nell’ultimo anno della scorsa legislatura. Ma poi succede che questo strano paese, invece dei calci nel sedere, premia proprio quelli che hanno perpetrato tale scempio e così ci ritroviamo la Lega al governo, Berlusconi che si aggira nuovamente tra le aule del Senato barcollando tra un gradino e un altro e quegli sciamannati di Conte secondo partito del paese.
E vabbè, ogni popolo ha la politica che si merita e ogni politica è lo specchio del suo popolo.
Ça va sans dire.
Del resto se la Meloni ha trionfato alle elezioni è anche e soprattutto per la insipienza dei suoi avversari.
Ma tra le ombre e le nebbie che dai palazzi del potere, mai colorati della luce ma sempre in chiaroscuro, si sprigionano sul paese scivolando mollemente dalle vette delle Alpi e inoltrandosi infingarde sino alle valli degli Appennini più lontani, qualche raggio di sole filtra.
È il sole che occhieggia tra le meraviglie della nostra nostra arte e che rimane stupito dei colori che al tramonto è capace di dare agli stupendi profili della natura che ci circonda. È lo stesso sole che fa l’eco ai versi della nostra cultura e riscalda le grida di gioia della nostra allegria.
È il sole meraviglioso dei tanti sorrisi delle donne e degli uomini di questo paese che, nonostante tutto quello che è successo, ci sono ancora e affollano con disordinata allegria le strade e le piazze di questa strana e amata terra, desiderata per molti secoli dai versi di Dante alle odi e alle musiche del romanticismo, e che, in una spesso confusa operatività, sono ripartiti con l’entusiasmo e quei gioiosi sorrisi che la nostra storia ha sempre narrato.
Si chiama fantasia e spesso genialità. Si chiama Italia.
E non dimentichiamo di guardarci in giro. Non faremo fatica a trovare qualcuno che questa sera sarà solo o vivrà un momento di difficoltà. Basterà un saluto o una telefonata e magari avremo sparso in giro un po’ di solidarietà.
L’Italia è anche questo.
Buon Natale a tutti.
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