Molto spesso in questi giorni mi è venuto da pensare che quell’isolamento domiciliare a cui ci hanno costretto le necessarie misure di distanziamento sociale varate dal governo italiano per frenare il contagio da Coronavirus andasse interpretato come una giusta sanzione comminataci dalla Storia per imporci un momento di ormai non più differibile riflessione sul futuro. Una sanzione ovviamente comminata non solo a noi italiani visto il propagarsi globale del virus anche laddove inizialmente era stato affrontato con spavalda e colpevole non curanza da molti governi (dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti solo per fare alcuni esempi). Oggi che il mondo è stato costretto a fermarsi i disastri ambientali globali degli ultimi decenni, l’affossamento clamoroso di molti sistemi di Welfare, lo squilibrio economico degli assetti geopolitici attuali e i rischi ingiustificabili di sperimentazioni futuristiche incuranti dei pericoli epidemiologici ci appaiono con una beffarda evidenza che dovrebbe indurci a fustigarci per come sia stato possibile (con dolo dei governanti e con colpa dei cittadini) non accorgersi della deriva verso cui stava galoppando la società contemporanea. Le privazioni di vita sociale ed economica a cui siamo costretti oggi per tutelare la salute pubblica hanno un unico grande corrispettivo: la riappropriazione della gestione del nostro tempo. Un bene prezioso di cui non ci siamo curati quando gli impegni quotidiani scorrevano veloci. E chissà che l’assenza del tempo di riflessione non sia proprio il segreto di chi ci governa per sottrarci lo spirito critico sul presente o lo spirito progettuale per il futuro.
INVESTIAMO BENE IL TEMPO CHE CI HA CONCESSO LA ‘CLAUSURA’ IMPOSTA DA QUESTA GRAVE EMERGENZA SANITARIA – Adesso, però, il tempo sospeso di questa grave emergenza deve essere assolutamente investito per pensare al futuro. Sarebbe troppo grave ripartire tra qualche mese facendo finta che non sia necessaria una rivoluzione epocale come quella che ha portato al Rinascimento dopo il Medioevo. L’inerzia del singolo cittadino ha sempre trovato giustificazione nella consapevolezza di non poter cambiare i massimi sistemi. Ma lo schiaffo fragoroso che ci ha assestato questo virus con la corona ci deve svegliare dal torpore dell’inerzia e deve chiamare ciascuno, singolarmente, all’assunzione delle sue responsabilità civiche, come avveniva un tempo nel modello democratico virtuoso delle Polis dell’antica Grecia. E la mia chiamata alle responsabilità di tutti, si badi bene, non ha nessun rischio di essere spocchiosa. Perché è, innanzitutto, un’assunzione di responsabilità ed un’ammissione di colpevolezza. Nel 1994 gli stessi ragionamenti appena svolti mi avevano portato ad accettare con entusiasmo l’idea di contribuire al futuro del mio Paese nel ruolo di parlamentare europeo. Avevo pensato che dopo trent’anni di esperienze concrete nel settore economico fosse giusto restituire al mio Paese un contributo fattivo e propositivo nato da quelle lunghe esperienze sul campo. Mi sono speso con forza per trovare le giuste soluzioni tra i problemi monetari dell’Europa e lo sviluppo paritario delle sue diverse economie statali con una specifica attenzione ai problemi della povertà dei Paesi dell’Africa. Ma mi è bastato poco per scoprire quanto sia maledettamente più difficile costruire una stagione di riforme politiche e legislative che guardino solo al reale interesse collettivo rispetto alle centinaia di palazzi che da imprenditore avevo saputo mettere in piedi. E così colpevolmente dopo una sola legislatura al Parlamento Europeo, nonostante numerosi e variegati corteggiamenti di schieramenti diversi, mi sono fatto colpevolmente scoraggiare dalle pastoie che si incontrano nelle stanze della politica e che frenano chi vorrebbe prendere decisioni rapide e giuste. Oggi, però, abbiamo preso uno schiaffo troppo forte per non capire che c’è bisogno di un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. Ma soprattutto per non capire che c’è bisogno finalmente di chi sappia pensare al futuro degli altri e non al proprio. Una differenza che ci appare ancor più evidente dopo le delusioni di ogni tentativo di ‘rottamazione politica’ che ci ha mostrato come il ‘nuovo’ ed i ‘giovani’ avevano rispetto ai ‘vecchi rottamati’ ancor meno cultura e lungimiranza di governo ed ancor più fame di interessi personali e clientelari.
I ‘GRANDI VECCHI’ POSSONO GUARDARE IN MODO DISINTERESSATO AL FUTURO DEI GIOVANI – Le parole sinceramente addolorate del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che hanno sottolineato quanto possa essere grave per il futuro di una comunità proprio la perdita dei suoi ‘grandi vecchi’ mi hanno fatto molto riflettere. La scienza ci ha regalato ormai una vita longeva in buona salute. Per cui al compimento dei 70 anni invece di pensare a come impiegare un ‘buen retiro’ si potrebbe e si dovrebbe pensare a come impegnarsi al servizio del futuro sociale perché finalmente lo si potrebbe e lo si dovrebbe fare senza pensare esclusivamente al proprio futuro. E questo è il compito che questi giorni di riflessione forzata ma preziosa mi hanno indotto ad assumere. Perché la ‘politica’ nel suo senso più alto non la si esercita solo seduti su una poltrona di governo, ma la si esercita anche e soprattutto partecipando ai processi decisionali di un Paese ciascuno con vesti e ruoli diversi. E allora, siccome oggi la piccola agorà di un tempo si è allargata alle grandi potenzialità della comunicazione dell’agorà globale rappresentata dal web, ho pensato ad uno spazio permanente di riflessione dedicato al “Pensiero al futuro”. Guardando finalmente al dopodomani e non più semplicemente al domani. Senza provare a mettere qualche toppa per aggiustare nel presente un sistema che non ha più bisogno di rammendi ma di un’assoluta rivoluzione. Innanzitutto di pensiero. Ma di un pensiero al futuro lontano. Un pensiero che può essere libero solo da parte di chi ha la certezza anagrafica di non poter far parte di quel dopodomani ma di volerlo costruire per gli altri.
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