Il menù italianista dell’opposizione al governo Meloni indica piatti con nomi vagamente affascinanti come la solidarietà, l’equità e la giustizia sociale: ma non sa indicare gli ingredienti per prepararli.
I piatti, a chiamarli genericamente per nome, non ci si mette alcunché. Lo sanno fare tutti, o quasi, e poco cambia se a quel “tutti” si sostituisce un dolce, indicativo “tutte e tutti” quale cura di omeopatia linguistica che non incide sui conti pubblici, né sul PIL. Davanti alle tante famiglie che hanno fame di futuro e che vivono sulla propria pelle i fattori mutevoli – e tragici – delle crisi intergenerazionali, i menù politici devono edificare alternative dai sapori concreti. Ai sapori indefiniti delle sub-ideologie, così come ai colori sbiaditi delle bandiere post-ideologiche, è bene preferire nuovi valori da declinare, nello spirito della tradizione repubblicana e liberale, all’insegna di un’innovazione democratica che più e meglio rappresenti le realtà nelle proprie sfumature, e nei propri bisogni di garanzia di crescita.
E intanto da alcune anime dell’opposizione si parla, si parla. Si parla e basta posando il miope sguardo sulle pieghe del dito, senza pensare alla luna, e senza collaborare con soluzioni di sviluppo nell’interesse generale del Paese, e degli italiani.
Genitori che investono sul futuro di figli scoraggiati alla sola idea di dover rimanere in Italia, tra precarietà e mediocrità reddituali dilaganti, figli costretti al senso di colpa di dover parcheggiare i propri cari anziani in strutture periferiche meno costose e meno vicine ai propri posti di lavoro centrali: vecchi giovani e giovani vecchi alla ricerca di un senso, di fronte e dentro a tutto questo caos. A tutte queste fragilità da comporre, sinergicamente.
Sono inutili, nonché improduttive, quelle anacronistiche logiche di guerriglia umorale e sociale fra categorie o fra posizioni lavorative. Ancora oggi, malgrado sia superata l’era della lotta fra lavoratori privati e lavoratori pubblici o fra impresari e dipendenti, ci sono manierismi post-ideologici che nel proprio DNA conservano il sapore dell’ideologia. Ovvero il sapore aspro della reazione (!), con tutte quelle sterili contrapposizioni formalmente superate ma di fatto esistenti come nette ed insanabili, finendo per far del male all’Italia, e agli italiani.
L’Italia (di netto!) merita lo sviluppo delle infrastrutture, materiali e immateriali, spronando i migliori meccanismi gestionali d’investimento. Stimolando il futuro in un’ottica aperta al divenire delle transizioni, con nuovi meccanismi d’irrobustimento delle produttività industriali.
Non diteci che non vi abbiamo visto arrivare. Perché vi abbiamo visto, e non ci avete ascoltato mentre vi dicevamo che la clava massimalista non è molto diversa dai populismi degli scorsi anni.
Vi abbiamo anche ascoltato: e da liberali, cittadini amanti del sacro dubbio razionale, siamo stati contenti che foste arrivati e che poteste avere una parola libera di speranza, nelle pluralità delle anime politiche. Ma l’opposizione non è vaga nebulosità identitaria. L’opposizione ha un peso, e ogni peso reca con sé la responsabilità di un programma, di un sistema possibile di ragionevolezze da mettere al servizio della nostra nazione italeuropea, della nostra patria culturale nonché manifatturiera, potenzialmente pioniera (degli Stati Uniti d’Europa) di fronte (e dentro) al mondo.
Ci teniamo pronti a servire il menù del torto, che farà bene all’Italia, perché la farà crescere.
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