BLOG

Riletture: “Marcia su Roma e dintorni”, di Emilio Lussu

Insegnante, giornalista e scrittore
Riletture: “Marcia su Roma e dintorni”, di Emilio Lussu

Da insegnante di Storia e Filosofia per i licei, so quanto sia difficile riuscire a trasmettere ai ragazzi nati nel XXI secolo la dimensione dell’avvento del regime fascista, senza però risultare vetusti o noiosi o pedanti.

La centralità di Emilio Lussu nella nostra storia

Ecco perché sono particolarmente felice di poter presentare nel mio blog la lettura di questo breve memoriale di Emilio Lussu (Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975), Marcia su Roma e dintorni (1933, prima edizione italiana 1945, prima edizione Einaudi nella formidabile collana “Letture per la scuola media” 1974, oggi disponibile con una introduzione dello storico Giovanni De Luna, 2014, 194 pagine, €10,45). Lussu è un padre della patria indimenticabile, nonché fondatore del socialismo-liberale, del Partito Sardo d’Azione e di Giustizia e Libertà.

Un testo pensato per un lettore non italiano

Uno dei punti di forza di questo lavoro è che è immaginato non per un pubblico italiano: Lussu lo scrive in italiano per farlo tradurre in inglese e francese e dunque dà delle indicazioni utili per il lettore non italiano, al fine di far comprendere lo stato dell’arte dell’Italia fascista del 1933. Dato il successo delle edizioni straniere (due, una a Londra e una a New York nel 1933; la prima edizione italiana esce clandestina a Parigi nello stesso anno), alla fine il breve saggio sarà pubblicato anche in Italia a partire però dal 1945, a fascismo caduto.

Una gemma della letteratura storica mondiale

Non lo dico spesso, quando recensisco un libro: questa è proprio una gemma della letteratura storica mondiale. Una lettura che senza alcun dubbio proporrò ai miei maturandi dell’anno scolastico che si sta per aprire. Chi vorrà aspirare a un voto di 9 o 10, dovrà, oltre a fare molto bene durante l’anno, anche leggere e valutare per intero questo libro.

Il genere, direi, è quello della memorialistica storica. Lussu scrive il testo nel 1933, annus horribilis dell’Europa, quando regimi dittatoriali di destra si sono installati in Spagna (dal 1923, col generale Primo de Rivera, fino al 1930), in Portogallo (dal 1926, coi generali Gòmez da Costa e Antonio Carmona, preparatori del regime di Salazar), in Polonia (dal 1926, col colpo di Stato del maresciallo Iòzef Pilsudski), in Jugoslavia (dal 1929, con la proclamazione della dittatura da parte di Alessandro I Karageorgevic), in Ungheria (dal 1920, regno con trono vacante sotto l’ammigraglio Horthy) e naturalmente in Germania, dove Hitler è sul punto di diventare cancelliere eletto del Terzo Reich.

L’Italia fascista del 1933: i voltagabbana al potere

Il fascismo, nel 1933, è al suo punto di acme in Italia. Gli antifascisti sembrano piegati: o sono stati assassinati, come Giacomo Matteotti, o sono in prigione, o sono in esilio. O, purtroppo, sono diventati fascisti della seconda ora. Il racconto del padre della patria mette infatti in risalto due cose: l’onnipresenza e la pervasività del trasformismo nella storia italiana e l’astuzia di quei ras, come il generale Gandolfo, che per piegare l’antifascismo (in questo caso sardo) puntarono sul promettere agli antifascisti che, mediante iscrizione al Fascio, avrebbe dato loro l’autorità di creare un fascismo della seconda ora col potere di vendicarsi sui fascisti della prima ora.

Quasi nessuno resistette all’invito: far bere l’olio di ricino, far bastonare nella pubblica piazza, in nome del Duce, chi ti aveva umiliato solo settimane o giorno prima allo stesso modo in nome dello stesso Duce, è qualcosa che penetrò nei cuori e nelle menti anche di antifascisti duri. E’ certo singolare come funziona la mente umana in questi casi.

Lussu unisce doti rare

Il lavoro di Lussu unisce doti rare: è efficace nel raccontare, quasi giorno per giorno, la realtà del regime che si va rafforzando, da prima della marcia su Roma, alla fine d’ottobre 1922, fino al 1933, quando appunto la storia termina con il racconto, agile e dinamico, della fuga dell’autore, di Carlo Rosselli e di Francesco Fausto Nitti dal confino nell’isola di Lipari. Il racconto non è cronologicamente bilanciato: quasi l’80-90% del testo resconta gli avvenimenti del 1922-25, soffermandosi dunque sul trasformismo degli italiani, antifascisti compresi, che gradualmente, uno alla volta, scelsero di piegarsi, di convertirsi al potere del più forte, per un chiaro tornaconto personale. Siamo dalle parti di quello che Leo Longanesi fisserà nella storia con il motto “tengo famiglia”, insomma.

Un’asciuttezza alla Primo Levi che sarà

L’altro aspetto che trovo encomiabile è il tono di Lussu. Alterna un’asciuttezza direi alla Primo Levi che sarà, insieme a un misto di ironia e di autoironia davvero difficile da collocare, specie in quella cornice. Pare, Lussu, non prendersi mai troppo sul serio, così come non prende sul serio il regime. Lo presenta più come farsa che come tragedia, ma è difficile capire come faccia a conservare un punto di vista così olimpico. Lussu non perde mai il senso del proprio ridicolo, della propria piccolezza se confrontato al tempo storico. L’autore si prende in giro da sé, in modo garbato, e prende in giro – in modo più sottile e sarcastico – i fascisti e il fascismo. Ne racconta le vigliaccherie, le piccole codardie, i gesti vapidi, egoistici, ombelicali, meschini. Ma lo fa senza perdere una sorta di sorriso, non so dire quanto amaro e quanto beffardo. Ed è questa la potenza letteraria del volume.

E’ una sorta di memento: non siamo che uomini, e come tali piccoli, a prescindere da ciò che facciamo. Ma in mezzo a noi, ce ne sono di più piccoli, di più meschini, di più codardi. A noi sta la scelta da che parte stare.