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Tre domande per Marco Rizzo, Segretario del Partito Comunista

Tre domande per Marco Rizzo, Segretario del Partito Comunista

3 domande per Marco Rizzo, Segretario del Partito Comunista.

Abbiamo rivolto a Marco Rizzo, Segretario del Partito Comunista, tre domande, in modo molto secco ed asciutto, senza particolari fronzoli, o preamboli, cercando di andare dritto al sodo.

Riteniamo che, in un momento storico così delicato e così particolare, sia necessario rendere il dibattito quanto più articolato e plurale.

La stampa, troppo spesso, ha il vizio di flirtare con il “potere”. Ecco perché, dopo aver scritto tanto su lockdown e libertà costituzionali, abbiamo sentito doveroso rivolgere le domande che seguono ad una delle rare voci fuori dal coro, presenti oggi sullo scenario politico italiano, a prescindere dal condividerne o meno il pensiero. Trattasi, in ogni caso, di pensiero critico, dunque salutare.

 

  1. Dal crollo del muro in avanti, trovo che in Italia si sia creato, nel popolo di sinistra, una certa confusione. Gli avversari politici utilizzano l’espressione “buonismo”, in senso dispregiativo. Io trovo che qualcosa di vero c’è: quando si propongono sanatorie a tempo determinato e quando si fa finta di appellarsi alla solidarietà per, in realtà, legittimare la schiavitù, si fa finta di essere buoni, ma si fa il gioco del cosiddetto “potere”. Lei cosa ne pensa?

 

M.R.             Io credo che i termini vadano inquadrati nel significato che la maggior parte delle persone dà loro. E questo fa sì che tale significato si vada modificando nel tempo. Occorre, quindi, mettersi d’accordo prima di cosa si sta parlando per evitare fraintendimenti.

Oggi per “buonismo” si intende la tendenza a guardare la superficie di un fenomeno grave e accettare soluzioni che, lungi dal partire dalle giuste domande, alla fine non solo non risolvono il problema, ma finiscono per arrecare danni e generalizzarli ad altri settori. Diremmo, “il medico pietoso ammazza il paziente”. Questa, però, è solo la metà che si vede e che non è la più importante. In politica non vi è nulla di casuale, tali soluzioni superficiali in realtà non sono il frutto di incapacità, ma sono costruite a tavolino per indirizzare i “buoni” sentimenti delle persone verso soluzioni che fanno comodo a pochi e danno a molti.

Arriviamo, ora, all’esempio che lei cita riguardante l’immigrazione. Se ci focalizziamo sulla diatriba “immigrati sì, immigrati no” non ne usciamo. O facciamo i buonisti o facciamo i “cattivisti. Il problema resta quello di prima: l’acqua dal rubinetto scorre nella vasca e litighiamo se dobbiamo tenere il tappo chiuso o aprirlo, invece di chiederci perché il rubinetto è aperto e come chiuderlo.

I fenomeni migratori sono aumentati a dismisura negli ultimi anni. Se sovrapponiamo la mappa delle guerre, delle risorse energetiche e dei paesi da cui la gente scappa, vediamo che c’è una sostanziale identità. È un caso? No di certo. L’Occidente va a rapinare quei paesi, fa a fare le guerre in quelli che si oppongono, lo sfruttamento e le guerre provocano le fughe.

I profughi che scappano dai loro paesi non lo fanno perché sono convinti che verranno a fare la bella vita qui in Italia. Qui abbiamo cinque milioni di immigrati che non vivono bene e che, quando lavorano, rappresentano il settore più sfruttato della classe lavoratrice. A questi, si somma una quantità variabile di nuovi ingressi per una ulteriore offerta di manodopera.

La guerra tra poveri tra chi chiede di lavorare in condizioni di sempre maggiore sfruttamento in Italia c’è da sempre. Si era mitigata con le lotte degli anni Sessanta e Settanta, ma oggi siamo tornati ai livelli del dopoguerra. Non sono i migranti che arrivano ogni anno a spostare i termini dei grandi numeri della disoccupazione in Italia o della necessità di alloggi. Ma, in un mercato fortemente concorrenziale, ciò che fa il prezzo generale non è la media, ma la quotazione dell’ultimo scambio. Quindi, se da un lato ci sono i padroni bene organizzati e dall’altro i lavoratori che ormai non hanno più alcuna rappresentanza efficace, è naturale che non solo i salari crollino, ma anche tutti i diritti e le condizioni di lavoro in generale vadano peggio. E, bene si diceva nella domanda, quando si individua nel tornante storico del crollo del socialismo in Europa il momento di svolta di tutto questo, non solo politico ma anche ideologico.

È colpa dell’immigrazione? Certo che no. È come dire che l’acqua è uscita dalla vasca a causa dell’ultima goccia che l’ha fatta traboccare.

Il capolavoro delle classi dominanti, però, è quello di far credere agli oppressi che la causa dell’oppressione non stia nelle classi che li opprimono, ma nelle classi ancora più sottomesse. Da qui la guerra tra gli ultimi e gli ultimissimi. Nulla di nuovo. Ce ne parlava già Marx, quando parlava del conflitto tra operai inglesi e irlandesi.

In questo, la nostra visione è diametralmente opposta, rispetto alla destra, che finisce per fare il gioco dei padroni, essendo portatrice degli stessi valori, fomentando la guerra tra poveri.

Perché noi non accettiamo il “buonismo” di certe aree. Perché le soluzioni non sono soluzioni per chi sta male, per chi soffre di queste condizioni, ma per chi li sfrutta.

Citiamo due casi emblematici.

Il primo, Lampedusa. Si ignorano i barconi, che arrivano direttamente sulla banchina del porto, nonostante sull’isola ci sia un sistema radar e di intercettazione della marina militare tra i più vasti, e si lasciano a marcire lì, accusando i lampedusani di non avere più quelle doti di accoglienza che erano state esaltate. Ma cosa deve fare una popolazione che non ha un ospedale, gli hanno militarizzato l’isola, gli hanno distrutto forse per sempre l’unica fonte che ormai restava, il turismo? Si usano come “arieti” centinaia di profughi ammassati all’aperto per scardinare una società e sottometterla al sistema militare e sicuritario, in cui si vuole trasformare l’isola.

Il secondo, la vicenda della sanatoria Bellanova. Ormai è sotto gli occhi di tutti che la sanatoria non è per gli immigrati, ma per la filiera dell’agroalimentare che li assume, che si può valere di una sorta di scudo penale, contro l’accusa di avvalersi di manodopera clandestina in un momento di grave penuria, dunque può accedere in “sicurezza” a un mercato molto più vasto. Per i lavoratori irregolari cosa cambia? Per un lavoratore dei campi o dell’edilizia o dei servizi alla persona, che sia italiano, comunitario o extracomunitario, lo sfruttamento è sempre lo stesso. Guarda caso, però, la sanatoria arriva proprio in un momento in cui Confindustria lancia l’allarme di scarsità di manodopera e quindi, per un attimo, il prezzo della stessa avrebbe potuto avere una risalita. Anche in questo caso, qualche migliaio di immigrati usati come “ariete” per abbattere le difese dei lavoratori.

Ora qui abbiamo avuto il tempo di spiegare bene il punto di partenza della nostra posizione e chiarire perché la diatriba tra destra e finta sinistra alla fine favorisce solo i padroni.

 

2. Ho trovato molto singolare che, durante il cosiddetto lockdown, molte persone si siano ritrovate a cantare Bella Ciao, ma non per strada, sul balcone! Qualcosa del genere è successo anche per la Festa dei Lavoratori. In pratica, molte persone che credono di riconoscersi nei valori della Libertà e della Resistenza hanno, poi, sposato la linea dell’obbedienza totale al capo. Come mai è avvenuto tutto questo?

 

M.R.             Ma è proprio quello che dicevamo. Far credere alla gente che o stai con il governo o stai con Salvini. È quello che si fa coi bambini. Vuoi andare a dormire con l’orsacchiotto, o con la paperella? Ma che devi andare a dormire non c’è dubbio. Salvini è contro la Resistenza, il governo è a favore, tu sei per i valori democratici, quindi devi stare col governo. È lo stesso meccanismo invertito che si è usato con e “sardine”, che oramai si sono autoarchiviate.

2 Giugno La Repubblica ai Lavoratori

Noi il 2 giugno saremo in piazza in tutta Italia per dire che c’è un’opposizione a questo governo, un’opposizione vera, quella dei comunisti, e non l’altra faccia del potere dei padroni, rappresentata dalla destra.

Che siamo per i veri valori che hanno ispirato coloro che hanno combattuto, affinché questa società non fosse quella che è diventata, anche a causa dei tradimenti di coloro che, oggi, si dichiarano eredi di quei valori.

Che la soluzione è tornare al vero significato che doveva dare forma a questa Repubblica: non una Repubblica fondata sul lavoro, ma, soprattutto, sui lavoratori. Che, da tutto ciò, si esce uscendo dai trattati europei, che ci precipiteranno ancor di più nel baratro del debito, e non daranno – come non lo hanno dato finora – sostegno ai lavoratori, ma ai monopoli, che si deve uscire dai trattati militari, che sono strumenti di guerra e non di pace.

Che, soprattutto, per fare tutto ciò, bisogna uscire dalla logica del profitto per i pochi e sfruttamento per i più, che ha pervaso ormai tutta la società, dalla sanità alla scuola, dalle fabbriche ai campi, alle piccole attività in proprio.

Le manifestazioni saranno, in contemporanea, in tutte le regioni d’Italia, alle ore 11. Io, ad esempio, sarò a Roma a Piazza San Silvestro.

 

3. In questi mesi, un governo, diciamo così, tendente a sinistra, tramite l’artificio dello stato di emergenza permanente – che molto ricorda la guerra permanente di orwelliana memoria – ha giustificato l’azzeramento di libertà costituzionali conquistate in anni di lotte sociali. Qual è la sua opinione in merito? Cosa ci aspetta ancora nei prossimi mesi?

 

M.R.             Ogni stato di emergenza comporta delle limitazioni, questo è ovvio. Quindi la nostra critica al governo non è una generica rivendicazione di libertà, che detta così significa poco. Libertà di infettare, di avere comportamenti pericolosi? È chiaro che tutto ciò andava limitato. Ed, anzi, ci si è perso tempo, nelle fasi iniziali. La nostra critica, anche qui, cerca di scendere nel profondo ed esaminare chi ci guadagna e chi ci perde.

Ci perdono i lavoratori, che sono rimasti a casa, senza cassa integrazione. Ci perdono i lavoratori, che sono andati a lavorare senza le necessarie misure di sicurezza. Si dice che sono rimaste aperte le attività imprescindibili. Come le fabbriche di armamenti? Sciocchezze!

Ci perdono i lavoratori della sanità, oggi chiamati “eroi”, i quali non vogliono essere eroi, ma lavoratori tutelati sul proprio posto di lavoro ed assunti e non trattati, ancora adesso, come limoni da spremere e da buttare.

Ci perdono i lavoratori autonomi, le cui attività sono chiuse e chissà come e se potranno mai riaprire.

Questi settori verranno usati in Europa come scusa per attrarre capitali a debito, che poi verranno indirizzati ai settori ad alta capitalizzazione che hanno già indicato: grandi opere, reti informatiche, green economy (il più grosso affare per le multinazionali). Quindi, con la scusa che è crollato il turismo, si farà la Torino-Lione, che poi pagheranno le generazioni che verranno.

Ci guadagnano i padroni del vapore. Come sempre.

Qual è l’aspetto che inciderà sulla vita di tutti noi da qui in avanti? L’emergenza sanitaria potrà essere accesa o spenta a piacimento. Come il terrorismo. Il nemico perfetto perché siamo noi a decidere quando comincia e quando finisce la guerra.

Sta di fatto che, senza assembramenti, anche le manifestazioni saranno, come sono attualmente, molto limitate. Le assemblee dei lavoratori come si faranno? Non è solo un problema di norme di distanziamento sociale, ma il tentativo di imporre una diversa impostazione del rapporto tra le persone. Se il lavoro è stato atomizzato, se i lavoratori sono messi l’uno contro l’altro dentro i luoghi di lavoro e fra i gruppi sociali, questo modello viene esportato fuori dai luoghi di lavoro, continuando il percorso che i nuovi social e i nuovi media hanno già intrapreso da anni.

Il vero pericolo, che io intravedo – a parte controlli centralizzati e regole stringenti, già in atto da tempo – sono i controlli e le regole che stanno passando persino dentro la testa delle persone, come esito inevitabile della nuova società atomizzata.

L’azzeramento delle libertà formali, semmai, avverrà a cose fatte, quando quelle sostanziali si saranno evaporate sotto i nostri occhi senza nemmeno accorgercene. Ma potrebbero anche restare come simulacro di una realtà che non c’è più. Ricordiamo che il fascismo arriva quando lo scontro della lotta di classe è al calor bianco e il potere borghese si deve proteggere con misure terroristiche esplicite. È l’uscita di emergenza del capitalismo, che cerca di evitare fino a quando può e cerca di uscirne appena può, ossia appena la lotta di classe rientra nell’alveo dell’accettabile.

Se l’ideologia borghese vince nella nostra testa, che motivo ci sarebbe di forzare le cose dal punto di vista formale? Del resto, questa Repubblica ci ha già dato prova di quanto può essere repressiva contro i lavoratori organizzati, senza bisogno di “leggi speciali” o “tribunali speciali”.

Il nemico da battere oggi è la rassegnazione operaia, la rassegnazione dei lavoratori, lo schiacciamento verso il basso dei lavoratori e di quella che una volta si chiamava la classe media, ma che oramai di medio non ha più nulla.