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Una forza politica per l’Italia e per l’Europa di Ventotene

Esperto di politiche attive del lavoro
Una forza politica per l’Italia e per l’Europa di Ventotene

Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge, così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie fra i giovani. (…) La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà! (da Per un’Europa libera e unita. Il Manifesto di Ventotene”, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, 1941)

Finalmente la Commissione Europea ha compiuto il passo che da molto tempo si aspettava chi crede nel progetto della casa comune europea: potrà finalmente indebitarsi a nome dell’Unione Europea. I risparmiatori potranno acquistare obbligazioni emesse direttamente dall’Unione. Grande affare, direte voi. Sì, lo è. Perché come in una famiglia, o in una nazione, essere indebitati insieme ed usare quel denaro per chi ne ha maggiore necessità significa aver deciso che il futuro, almeno quello prossimo, è un futuro comune, che ci lega e che ci costringerà a fare scelte comuni e responsabili.

Già, responsabili. Gli investitori, coloro che dovranno comprare quelle obbligazioni, coloro che acquisteranno il debito europeo, hanno bisogno di forze politiche e governi responsabili, altrimenti non investiranno. Attenzione perché questi investitori, in forma diretta o indiretta, non sono nient’altro che i risparmiatori, ed in Italia, ricordiamocelo, ci sono moltissimi risparmiatori. Basta pensare che le famiglie italiane, come ci mostrano i dati di Banca d’Italia e della Banca dei Regolamenti Internazionali, sono tra le più virtuose. L’Italia ha il più basso debito privato tra tutte le maggiori economie avanzate.

In Francia e in Germania esistono partiti che stabilizzano il quadro politico, che gli forniscono solidità, che garantiscono sia i risparmiatori interni, cioè i propri cittadini, sia gli investitori e i partner internazionali. In Italia questo ruolo in passato fu svolto dalla Democrazia Cristiana. So che molti  storceranno il naso, ma la storia non si cambia. La DC si fece garante del collocamento internazionale del nostro Paese e seppe, a seconda delle stagioni politiche, aprirsi al confronto (e al governo) con le altre forze politiche. Questo ha significato libertà e sviluppo.

Dopo la crisi dei partiti ideologici, dalla cosiddetta seconda repubblica in avanti, diversi soggetti hanno provato ad esercitare il ruolo che fu della DC. Ci hanno provato in particolare la prima Forza Italia di Berlusconi (poi PDL) e l’Ulivo (poi PD). Nulla che sia durato alla prova del Governo e delle Riforme: una lenta perdita di centralità dell’Italia nel palcoscenico internazionale. Né Berlusconi, né Prodi, né Renzi, nonostante le speranze dei nostri interlocutori internazionali, sono riusciti, seppur godendo di momenti di enorme consenso elettorale, a costruire cicli paragonabili a quelli che consentirono all’Italia la ricostruzione dopo la Guerra e il suo ingresso nel consesso dei principali Paesi industrializzati del mondo.

Senza un partito capace di stabilizzare il quadro politico italiano, il nostro Paese non arresterà il declino; potrà mettere delle toppe, potrà affidarsi alle leadership (necessarie ma non sufficienti) che di volta in volta si alterneranno nel panorama pubblico, ma non sarà in grado di presentarsi come partner solido e affidabile. Anche per i suoi stessi cittadini. Non è un caso che, secondo una recente indagine di Eurispes, i giovani italiani non vogliano fare gli imprenditori: per rischiare e intraprendere devi vedere nello Stato un partner e non un nemico. E se nessuno produce ricchezza, vi informo che non c’è la possibilità di distribuirla e ridistribuirla, con tutte le conseguenze del caso.

Il PD e i suoi mondi di riferimento hanno fallito. Si sono spaccati sulle riforme, non accettandone la necessità e lasciando il Paese scoperto e inerme agli occhi altrui: inadeguato ad affrontare le sfide della contemporaneità. Il nemico non è l’Olanda, ma l’immagine che trasmettiamo di noi stessi, l’immobilismo che pervade ogni ganglio dell’infrastruttura economica e istituzionale del Paese. Ora siamo costretti “a riformarci” in maniera scomposta a causa dell’accelerazione spaventosa provocata dalla pandemia sul nostro sistema di vita.

Il maggioritario, i sistemi elettorali francesi o inglesi, per chi è più appassionato del doppio turno o del turno unico, aiutano a costruire forze politiche stabili e affidabili. I sistemi elettorali a forte dose di proporzionale, soprattutto nella stagione del post-ideologico in cui i partiti durano pochi anni, assolutamente no. Se il Partito Democratico dopo la disfatta sulle riforme e dopo aver rinnegato la vocazione maggioritaria, cedesse anche sul sistema elettorale maggioritario, darebbe ulteriore prova della cesura definitiva con il progetto riformista.

A quel punto sarebbe necessario che chi crede nell’Europa di Ventotene, in un’Italia veramente europea, libera e forte, si metta a ragionare da statista. Sarà necessario costruire una forza politica che rimetta l’Italia sui giusti binari, che dia credibilità al progetto Paese verso i nostri concittadini e verso le Istituzioni Internazionali. Se i riformisti e i moderati non fossero in grado di dar corpo, tutti e insieme, a questo progetto unitario le conseguenze sul piano della tenuta del contratto sociale sarebbero molto gravi. Essi si assumerebbero una responsabilità pesantissima di fronte alla storia.