Per Battiato era la gravità permanente, per i romani il cardine della virtù intesa come sublimazione delle qualità dell’uomo (vir), nel calcio è l’emblema fascinoso del goleador, insomma il centro è sempre stata una parola che ha avuto il suo fascino sia nelle pagine della storia che in quelle del pensiero antico e moderno. Peccato che la politica attuale la abbia dimenticata e forse cancellata.
E già perché mentre la Meloni riceve un incarico “lampo” a guidare il paese, a dispetto delle boutade di Berlusconi, dall’altra parte del fiume si continua a balbettare. E soprattutto si stenta a comprendere errori fatti, che pare si continuino a fare.
Non vi è chi non veda che nel nostro paese vi è una gran bella fetta di elettorato (che per comodità pesiamo intorno al 30/35%) che non è schierata né a destra né a sinistra. È una Italia fluttuante che non ha radici partitiche e che guarda alla politica come una categoria deputata a risolvere problemi e soddisfare bisogni.
E allora una volta si butta su Renzi, la volta successiva su Salvini, poi esprime un voto di protesta sposando Grillo e c., un mese fa ha premiato la Meloni ed è sempre la stessa fetta di italiani che negli anni precedenti aveva benedetto le promesse di Berlusconi o le sparate di Di Pietro.
A volte cercano la persona forte, decisionista, che affronti i problemi con lo stesso vigore con il quale Luis Miguel Diminguin afferrava il toro per le corna prima di infilzarlo con la sua spada, a volte cercano qualche leader sfascista per manifestare tutta la loro rabbia e delusione della serie “muoia Sansone con tutti i Filistei” a colpi di picconate e barricate.
Questa è una categoria di italiani che sono tendenzialmente refrattari alle estreme politiche e probabilmente cominciano a rimpiangere gli anni del “pentapartito” e della prima repubblica. Sono di ispirazione moderata ma se si incazzano votano per protesta, a sfregio, provocando veri sfracelli politici.
La vera battaglia elettorale, che anche questa volta è mancata, non è consolidare quel patrimonio elettorale già radicato a destra, così come a sinistra, ma convincere questa massa di voti vaganti o almeno parte di essi.
La Meloni ci è riuscita catturandone una parte nel segno della protesta.
Chi ha fallito è la sinistra.
E il perché è proprio in questa parola che evidentemente si è persa: il centro.
E già perché se tu alla parola composta centrosinistra ci togli il vocabolo centro non rimane che il lemma “sinistra”.
E del resto cosa era quella che si è presentata alle elezioni se non una coalizione che, dal PD a Fratoianni e Bonelli e a tutti gli altri, era smaccamente un rassemblement de la gauche?
E poteva questa coalizione così radicata nella ostilità al socialismo europeo (Fratoianni e c.), nella vocazione giustizialista e nella svolta verso un antico e mai sopito centralismo democratico di comunista memoria, (posizione del PD ai referendum sulla giustizia e sul taglio al numero dei parlamentari), nella esasperazione della campagna elettorale con quel “o noi o loro” che ha radicalizzato lo scontro ed esaltato gli estremismi, poteva dunque sedurre anche solo uno di quei voti moderati?
Sebbene da più parti ci si sforzi, anche all’interno della componente socialista, (che sì avrebbe potuto dare una sverniciata di riformismo ad una coalizione che di riformismo al momento non ha nulla, se solo fosse stata visibile e riconoscibile e non intruppata nelle liste del PD) di autodefinirsi di centrosinistra, quella alleanza di quel mistico “centro” non ha alcun sapore o vestito.
Era ed è solo di sinistra e dall’elettorato è stata riconosciuta in quanto tale.
E già perché i moderati se li è persi per strada e, dalle parti del Nazareno, si dovrebbero mordere le mani.
Non vi è dubbio che quello che poi è diventato il “III polo” una mano a dare un vernissage moderato alla coalizione guidata da Letta l’avrebbe data e forse, inserito in una alleanza che nei sondaggi sarebbe anche potuta essere accreditata per vincere, avrebbe potuto contribuire con un bottino più consistente di quello che ha raggranellato il 25 di settembre.
Il problema è che sembrano non demordere.
Lo sfregio reso al duo Calenda-Renzi, nel non concedere loro uno dei vice presidenti neanche in una sola delle due camere, sembra un atto di ostilità che si contrappone in forma stridente alla piaggeria mostrata a Conte.
Con questi spartiti non varrà parlare di centrosinistra, non varrà parlare di riformismo, non varrà parlare di socialdemocrazia europea. Il laticlavio ombrato del fondamentalismo di sinistra non verrà così sbiancato e sarà difficile affrontare le prossime sfide elettorali che non sono lontane.
Se il PD non metterà in atto una trasformazione della sua natura, ma la vedo dura, che superi le sue radici e si volga davvero, e non per finta, al riformismo socialdemocratico europeo sarà difficile che una alleanza, nella quale il grande partito della sinistra recita il ruolo di guida, possa apparire moderata e gli alleati piccoli, come i socialisti, invece di apportare un contributo in tal senso, saranno risucchiati anche loro nell’imbuto nero delle posizione estreme.
Con una consequenziale radicalizzazione del bipolarismo nei toni, nel confronto e nella discussione, che non fa bene a nessuno tantomeno al paese.
L’ideale sarebbe spezzarlo questo bipolarismo, ma questa è un’altra storia.
© Riproduzione riservata