Letture
Capire la “mente nazista” perché l’orrore non torni più: il saggio dello storico Rees sulla vicenda del regime più criminale del Novecento
Dodici segnali d’allarme per evitare che il Male possa presentarsi ancora
Esce in questi giorni un ponderoso volume, più di 500 pagine, “La mente nazi – Dodici moniti dalla storia” di Laurence Rees (Bompiani, traduzione di Jadel Andreetto), una meticolosa storia del nazismo esaminata da una particolare angolatura: è una lettura psicologica, o dovremmo dire psicanalitica, del fenomeno più sconvolgente del Novecento. Con un’ulteriore particolarità di tipo pedagogico: cioè provare a capire come fare per evitare che quelle nefandezze abbiano a ripetersi.
Scandagliando i fatti, come deve fare la buona storiografia, Rees, specialista da decenni del fenomeno nazista, si chiede come sia stato possibile quell’orrore, come abbiano fatto uomini comuni a trasformarsi in carnefici. E dunque: potrebbe accadere di nuovo? O meglio, sta già accadendo da qualche parte, e perché? Osserva Rees: «Il titolo e il contenuto del libro vogliono esplorare la mentalità nazista nella sua molteplicità, senza limitarsi alle convinzioni dei gerarchi, ma analizzando anche la visione del mondo di chi sostenne il regime in modo attivo. È importante precisare che l’intento non è in alcun modo quello di scagionare i responsabili di crimini efferati. Al contrario, comprendere il contesto storico e le motivazioni individuali non significa affatto giustificare o minimizzare le atrocità commesse». È un po’ il problema che si pose Renzo De Felice dinanzi al fenomeno del fascismo. Non è revisionismo ma analisi di ciò che non si vede a occhio nudo dietro lo svolgimento concreto dei fatti.
Attraverso testimonianze inedite di ex nazisti e di cittadini cresciuti nel cuore del Terzo Reich, Rees ci guida in un viaggio inquietante e necessario nella mentalità di chi ha permesso, accettato o giustificato il Male. E lo fa attraverso dodici moniti, dodici segnali d’allarme da tenere d’occhio oggi, nei nostri leader, nelle nostre società, persino nei luoghi che riteniamo immuni: le democrazie, le terre della libertà, quelle nelle quali sembra impensabile poter trovare i semi di un male oscuro. Ne abbiamo purtroppo vari esempi in questa fase storica. I dodici segnali da tenere presente danno ciascuno il titolo ai vari capitoli: diffondere le teorie del complotto; usare la contrapposizione noi/loro; esaltare lʼeroismo dei vertici; corrompere la gioventù; accordarsi con le élite; minare i diritti umani; strumentalizzare la fede; esaltare i nemici per esaltare sé stessi; soffocare la resistenza; esacerbare il razzismo; uccidere senza sporcarsi le mani; alimentare la paura. Sono tutti “ingredienti” del nazismo: come si noterà, siamo a cavallo tra politica e buio nella mente. La paura, per esempio, nella “mente nazi” fu assolutamente fondamentale per la costruzione del consenso: «Tendiamo a reagire con più forza all’idea di perdere qualcosa che già possediamo, piuttosto che all’idea di ottenere qualcosa di nuovo. Per questo una delle frasi più potenti nella retorica politica è: “Abbiate paura. Stanno venendo per le vostre case… Per i vostri figli”. Fu il messaggio – spiega Rees – che il Führer lanciò nei suoi ultimi giorni al popolo tedesco. E continuerà a riemergere, ancora e ancora, nella propaganda di molti futuri dittatori».
Lo storico dunque vuole mettere in guardia da fenomeni che, come il nazismo, mescolarono sapientemente e cinicamente quelle paure. E tuttavia «c’è ancora motivo per essere ottimisti. Adolf Hitler ha utilizzato tutte le tecniche descritte fin qui – la manipolazione della paura, l’odio, la propaganda, la costruzione di nemici – eppure, alla fine, qualcosa di straordinario è accaduto. A un costo umano incalcolabile, è vero, ma i nazisti sono stati sconfitti. E questa rimane, ancora oggi, una ragione per credere che resistere sia possibile».
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