C’è qualcosa di sadico nel modo in cui gran parte della politica oggi rifiuta di trovare rimedi rapidi ed efficaci al sovraffollamento: sadico perché si finge di credere e far credere che una misura come la liberazione anticipata speciale, qualche manciata di giorni di libertà in più, costituirebbe un cedimento dello Stato. Ma qualcuno si chiede se lo Stato non stia invece cedendo là dove non garantisce condizioni di detenzione decenti? Là dove tiene le persone accatastate in letti a castello e nel frattempo calcola se ci sono i pochi metri sufficienti per non pagare multe? Là dove parla di rieducazione e poi lascia un sacco di gente ad “ammazzare il tempo” dalla mattina alla sera distruggendo ulteriormente la propria vita invece di ricostruirla? Dice Lucia Castellano, provveditrice alle carceri della Campania: “Mi piacerebbe che il carcere fosse quello che Durkheim chiama ‘la pena precisa’, cioè una pena che consiste nella mancanza di libertà e basta, non anche in una afflittività, in una prepotenza, in una burocrazia così invalidante”. E invece quella burocrazia così “invalidante” continua nella sua opera distruttiva. Possibile allora che le Istituzioni non possano almeno fare un provvedimento a costo zero come la liberalizzazione delle telefonate e l’ampliamento delle videochiamate? Possibile che, a fronte di questa disumanità delle galere, non si possa fare tutto il possibile per garantire da subito più affetti per tutti?

Quelle che seguono sono due testimonianze di persone detenute, che sottolineano il deserto affettivo prodotto dal carcere e ulteriormente accentuato dalle festività.

Penso a mio figlio che vedo in videochiamata

di Salvatore F.

Chiudo gli occhi e penso alle feste e subito immagino la neve, le bancarelle con le luci, penso al calore di casa, la famiglia, l’atmosfera che scalda i cuori, e poi smetto di sognare e penso a mio figlio che va matto per il Natale e in videochiamata già mi ha fatto vedere dove posizionerà l’albero e i regali. Lui mi ha parlato del Natale a scuola dove preparano letterine e palline colorate e c’è tutto, manco solo io, questo sarà un altro Natale senza il suo papà. Per lui è “normale”; io non ho fatto in tempo a passare una festa con lui, ero già in galera, ma mi fa troppo male non esserci, il suo papà non c’è, non c’è mai stato e per anni ancora non ci sarà alle feste. Per noi padri detenuti, il Natale è particolarmente freddo e nessun addobbo, nessun camino scalderà le nostre celle che sono davvero gelide e buie. Questa triste realtà ci accompagnerà per tutto il periodo natalizio, senza un po’ di calore che riscalderebbe il mio cuore. Ma io sono padre, adulto e responsabile, allora sento che devo fare qualcosa per mio figlio e mi ritrovo a scrivere una lettera dove esprimo i miei desideri facendo finta di credere che il Natale sia veramente magico, come fanno i bambini che con la loro innocenza credono nella magia del Natale. Oggi torno bambino e voglio sognare che la mia lettera arrivi a Babbo Natale, che esaudirà il mio desiderio e come per magia questo Natale lo passeremo insieme, io e mio figlio.

In carcere si vive della speranza che qualcosa cambi, anche piccole cose come un aumento della liberazione anticipata, ci hanno illusi nel farci credere che si sarebbe fatta, piccolezze che avrebbero però portato un po’ di fiducia e migliorato il Natale da galera. In carcere un piccolo gesto per non far perdere la speranza è tutto. Io nella vita, dopo lunghe riflessioni sui disastri che ho fatto, ho capito che bisogna iniziare dai piccoli gesti: sono un detenuto con una lunga pena, finito in carcere per aver creduto di poter avere tutto e subito; oggi mi costruisco il mio futuro un po’ alla volta, ma avrei bisogno di sperare, di poter almeno ricevere un piccolo dono che renderebbe diverso il solito Natale sfiduciato; basterebbe poco, una riduzione di pochi mesi sulla condanna, che comunque porterebbe fiducia e forse qualche suicidio in meno per fine anno.

Feste ristrette, solitudine allargata

di Francesco G.

Le persone detenute non riescono proprio ad esprimere un po’ della gioia e dell’empatia delle feste perché prevale sempre la chiusura pressoché totale con l’esterno e la deprimente rigorosità nell’applicazione delle restrizioni, che non si attenuano neppure nelle festività. La rigidità del sistema pesa in modo oppressivo su noi detenuti per tutta la durata dell’anno e diventa esagerata nel periodo festivo; servirebbe un cambio di rotta che manifestasse la volontà dell’Amministrazione di preoccuparsi delle condizioni psicologiche e affettive del detenuto. Una amministrazione che dovrebbe dedicare particolare importanza al periodo delle feste, dando la possibilità al detenuto di avere colloqui familiari più ampi, di esprimere l’umanità che è sempre presente in ognuno e di mettere le basi per una più civile convivenza tra di noi.

Vorremmo che almeno durante le feste si comprendesse l’importanza di concedere qualche “allargamento” delle regole interne per darci la possibilità di dimostrare realmente il vero significato che ognuno di noi attribuisce agli affetti e alle relazioni.

Attualmente la persona detenuta resta isolata materialmente e psicologicamente dal resto del mondo, ossia non ha il senso di comunità e condivisione che dovrebbe essere al centro di una riabilitazione profonda. Ma ha invece un pesante senso di isolamento, una chiusura totale vissuta nel grigiore del cemento e delle sbarre che limitano la visione dell’orizzonte.

La solitudine è una specie di malattia che si trasforma in soppressione delle proprie emozioni e si riflette nella inesorabile quotidianità priva di qualsiasi idea di futuro. La persona ristretta è spesso costretta a recidere molti rapporti familiari, sino ad autoisolarsi persino rispetto ai compagni di cella e di sezione. Quello che chiediamo con forza almeno in questi giorni particolari è di porre in atto delle migliorie sostanziali che ci offrano la possibilità di riunirci e fraternizzare tra di noi e, ove possibile, ampliare le forme di comunicazione con i nostri familiari, perché anche loro vivono il carcere come una barriera fisica ed emotiva.

Vogliamo venire considerati esseri umani al di là del reato commesso, avere la possibilità di iniziare una vera riabilitazione e valorizzare le nostre personalità e fragilità proprio in questa particolare occasione che è il Natale.

Ornella Favero

Autore

Direttrice di Ristretti Orizzonti