I progressi della scienza
C’è vita su Venere, o forse no. Tracce di fosfina ma va studiata
Quando si va alla ricerca di un animale esotico ed elusivo, è molto difficile che si abbia la fortuna di incontrarlo. Bisogna armarsi di buona volontà e mettersi pazientemente a ricercare tracce e indizi, i resti di un pasto, ramoscelli spezzati di fresco e, nella migliore delle ipotesi, delle orme. La ricerca spaziale non è molto diversa, soprattutto quella di forme di vita su altri pianeti. Esclusa la circostanza favorevole, ma improbabile, di scorgere con un potentissimo telescopio omini con le antenne e il naso a trombetta che ci salutano, bisogna capire innanzitutto quale traccia potremmo mai individuare. Per decenza, prima ho evitato di menzionare una delle tracce più distintive: gli escrementi dell’animale che si cerca. I prodotti delle funzioni organiche, infatti, a volte sono addirittura caratteristici di una specie, ma in ogni caso denunciano quanto meno la presenza di un qualche animale.
Per ricercare la vita su un pianeta distante, il metodo diretto consiste, naturalmente, nell’inviare una sonda che faccia misurazioni e rilievi. Se però si vuole fare la ricerca restando sulla Terra l’unica possibilità è un’osservazione a distanza. Osservazione di che tipo? Immaginiamo di non sapere che sulla Terra ci sia l’atmosfera. Notiamo che, al tramonto, il Sole cambia colore, da bianco giallognolo, diventa rosso, come quando la luce di una lampadina passa attraverso la carta delle caramelle Rossana… Significa che la luce ha attraversato uno strato di materia, un gas in questo caso, che ha “mangiato” tutti i colori tranne il rosso, e quindi il Sole ci appare rosso. In base a questa semplice constatazione possiamo concludere che nel cielo terrestre c’è effettivamente un’atmosfera gassosa. Sapendo inoltre quali sono i gas che assorbono la luce dei vari colori, si può anche risalire alla natura chimica dell’atmosfera.
Per capire quali composti si trovano nell’atmosfera di un altro pianeta si può fare cosa analoga. Ovviamente sarà più complicato che dare una semplice occhiata al suo colore. Per riuscire a capire la sua composizione si dovranno usare batterie di enormi telescopi (in effetti radiotelescopi, che non vedono i proprio i colori, ma segnali analoghi), come quella di 66 elementi che si trova nel deserto di Atacama, nel nord del Cile. Infatti, essendo uno dei deserti più aridi della Terra, nuvole e pioggia non disturbano le osservazioni. I radiotelescopi di Atacama, puntati su Venere, hanno riscontrato la presenza nella sua atmosfera di un composto chimico chiamato fosfina, parente prossimo dell’ammoniaca (per chi si diletta di chimica, fosfina e ammoniaca sono formate entrambe da tre atomi di idrogeno, legati, rispettivamente ad un atomo di fosforo o di azoto). Ma cosa ha di così straordinario la fosfina, da far gridare alla scoperta del secolo e meritare la pubblicazione rapida su una delle riviste scientifiche più prestigiose, come Nature-Astronomy?
In generale, non sappiamo molto dei processi chimici e fisici che si verificano sugli altri mondi, ma i pianeti più vicini a noi, Marte e Venere, sono un po’ un’eccezione. E’ come dire che non conosciamo molto della cultura del Bangladesh, ma qualcosa sul proprietario bengalese del minimarket sotto casa la sappiamo. C’è fosfina anche sulla Terra. Da dove proviene? Da due sole sorgenti note: Dagli stabilimenti chimici industriali, perché necessaria alla fabbricazione di alcuni dispositivi elettronici, e… da alcuni esseri viventi, come prodotto secondario del metabolismo di batteri anaerobi (quelli che eliminiamo con l’acqua ossigenata). Ipotizzando che su Venere l’industria elettronica non sia particolarmente florida, la presenza di fosfina potrebbe essere dovuta all’emissione da parte di microrganismi, magari unicellulari, affini ai nostri batteri anaerobi. Non sappiamo se fenomeni di vulcanesimo su Venere, estremamente frequenti ed intensi, possano rilasciare fosfina in atmosfera. Sulla Terra non accade e, per analogia, saremmo portati a credere che non succeda neanche lì. Tuttavia Venere ha un’altra giurisdizione e potrebbero verificarsi fenomeni di cui non siamo a conoscenza, differenti da quelli terrestri. Ecco perché gli scienziati sono così cauti. Come sa ogni bravo giornalista, quando la notizia è davvero grossa, bisogna verificarla cento volte.
Di fosfina poi non ce n’è così tanta, si parla di concentrazioni di qualche miliardesimo. Se prendiamo l’atmosfera terrestre, in cui l’ossigeno è essenzialmente di origine organica, tramite la fotosintesi, le concentrazioni sono enormemente più alte, circa il 20%. Quindi, se la fosfina è davvero di origine biologica, si tratta delle esalazioni di esserini piccoli. E questo ci convince, perché non ci aspetteremmo di trovare forme evolute su un pianeta tanto ostile e inospitale. Dove si troverebbero i venusianini? Non al suolo sicuramente, dove la temperatura raggiunge i 500 gradi e nessuna forma vivente -per estremofila che sia- potrebbe resistere. E dove allora? Su Venere non ci sono oceani o laghi. Vero, ma c’è un’atmosfera densissima. Organismi unicellulari potrebbero “galleggiare” facilmente nell’aria, che propriamente aria non è, (essendo una miscela di altri gas, primo tra tutti l’anidride carbonica). Questi gas densi permetterebbero la vita di batteri anaerobi, cioè proprio di quelli che qui sulla Terra producono la fosfina. Come si alimenterebbero questi batteri e dove prenderebbero la materia di cui sono fatti è oggetto di dibattito. Per immagazzinare energia e cibo, potrebbero forse svolgere un qualche tipo di fotosintesi alternativa, chiamata chemiosintesi, magari attivata -come la normale fotosintesi- dalla luce del Sole.
L’aspetto singolare che induce gli scopritori ad un moderato ottimismo è che la fosfina è una molecola instabile, che tende a dissociarsi rapidamente e a scomparire, trasformandosi in altre specie chimiche. Quindi, se la percentuale di fosfina è invariabile, significa che in qualche modo è pompata ininterrottamente nell’atmosfera di Venere e non è dovuta ad eventi eccezionali che ne immettono ingenti quantità, destinate però a dissolversi in tempi brevi. Grandi eruzioni ricadrebbero in questo secondo caso. Perciò, se la produzione fosse di una qualche origine vulcanica, dovrebbe essere di un tipo molto particolare, un’esalazione diffusa e costante. Non impossibile da immaginare, ma neanche tanto plausibile.
Quando si cerca senza sapere esattamente cosa, non si ha idea di come potrà svilupparsi lo studio. Invece, una volta trovato un indizio, il campo di indagine viene circoscritto. Si intravede il bersaglio e, anche se può non essere facile avvicinarsi e colpirlo, almeno si sa dove tirare. Prima non sapevamo niente e brancolavamo alla ricerca di possibili forme di vita extraterrestri. Adesso abbiamo una traccia. Non sappiamo ancora se sia un vicolo cieco che non ci porterà a nulla e quindi saremo poi costretti a ricominciare daccapo. Ma il filosofo Cartesio, nel suo Discorso sul Metodo, ammonisce l’esploratore smarrito nella foresta affinché proceda lungo un’unica strada e non ritorni sui propri passi, avvitandosi in un percorso senza uscita. La nostra strada su Venere si chiama fosfina. Se porterà a colonie di batteri, oppure a soffioni o geyser, oppure a chissà cos’altro non lo sappiamo. Però sappiamo che vale la pena di seguirla…
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