È morta ieri Donatella Raffai. Aveva 78 anni. Aveva lavorato molto in televisione, con grande successo, fino al 2000. Poi si era ritirata. Sempre elegante e riservata aveva raggiunto il massimo del successo nel 1989 con il lancio su Rai Tre del programma “Chi lo ha visto” che ancora oggi è uno dei punti di forza della Rai. Donatella fu la prima a condurre il programma insieme a Paolo Guzzanti. I funerali si svolgeranno oggi alle 12 e 30 nella chiesa parrocchiale di via Flaminia Vecchia, a Roma.

Il Muro di Berlino era ancora lì ed era – quel mondo – un altro mondo. Io e Donatella Raffai fummo convocati a viale Mazzini da un personaggio fantastico, una sorta di Lepricone del ciclo fiabesco irlandese che si chiamava Lio Beghin, un creatore di programmi che a quel tempo lavorava per la Rai e che poi passò alle reti Mediaset. Fu lui a metterci insieme davanti a un tavolo in uno studio disadorno come un ufficio del catasto per dar vita a quell’opera televisiva che ancora trionfa anche se non ha più nulla a che fare con quella originale che era il primo “Chi l’ha visto?”.

Donatella era una bella signora pimpantissima, nervosetta e di carattere, e facemmo amicizia subito, legammo come se ci fossimo da sempre conosciuti. In tempi diversi reagimmo al mostruoso successo di “Chi l’ha visto?” nello stesso modo. Fuggimmo uno dopo l’altro a gambe levate. Era la RaiTre di Angelo Guglielmi. Uno degli intellettuali del “gruppo 63” che fu l’anima di quella rete nata da poco e affidata alle cure del Pci che la affidò alle cure di questo intellettuale che aveva un piano preciso e anche geniale: costruire una rete come un laboratorio in cui era lecito sbagliare e correggere, senza la spada di Damocle degli ascolti. E poi raggiungere il successo.

I programmi dovevano essere “sporchi” cioè contaminati dalla realtà e non scintillanti di lustrini come era sempre stata la Tv democristiana con i suoi Dada-Umpa; mia figlia Sabina, appena diplomata dall’Accademia d’Arte Drammatica, avrebbe iniziato con la “Tv delle Ragazze” altro premiato brand di RaiTre e io e Donatella Raffai fummo convocati da Lio Beghin che spiegò il progetto di “Chi l’ha visto?”, un format credo americano di grande successo. Cominciarono così una serie infinita di riunioni preparatorie in cui Donatella che era un peperino si sentiva spiazzata perché il meticolosissimo e leggermente sadico Lio Beghin scriveva di notte tutta la sceneggiatura della trasmissione, parola per parola, senza nulla concedere alla libertà creativa di Raffaella e mia come conduttori. Io avevo già lavorato con Beghin in un programma tremendamente sociale che si chiamava “Posto pubblico nel Verde” ed ero abituato a comportarmi come un attore che deve mandare a memoria la sua parte.

Donatella era furiosa, ma anche intrigata e cominciò a sviluppare con Beghin un rapporto densamente conflittuale, qualcosa che sembrava simile a un rapporto di coppia inacidito. Così arrivammo alla prima trasmissione, entrambi addestrati a dire tutte le battute e fare tutte le facce come da copione, avendo sempre Lio Beghin accanto che non compariva in video ma che era dannatamente presente. Detto per inciso, Beghin era un genio che fece sempre programmi di grande successo. E così avvenne il miracolo. L’evento monstre. Non ricordo lo share di quella prima sera, ma fu qualcosa di clamoroso, a metà tra Pippo Baudo e Celentano. Non esistevano ancora le televisioni private degne di nota, e la Rai si pappava tutti gli ascolti che furono molti milioni. Donatella era sbalordita e felice.

Io sbalordito e terrorizzato. Non ricordo bene chi fosse il tizio scomparso da cercare e trovare come in una caccia al tesoro nazionale, ma alla seconda trasmissione il successo crebbe verticalmente benché nessuno avesse ancora visto “Chi l’ha visto”. Anche Donatella si spaventò. Beghin era felice come un diavoletto e sorrideva con i suoi denti a ventaglio come rampe di missili. Poi il tizio fu trovato e si fece una specie di festa nazionale con noi due in trionfo, Donatella Raffai e io, con ascolti miliardari, recensioni adoranti. “Io mi sento soffocare”, mi disse Donatella. Risposi che io già soffocavo. Lei cercava di ottenere da Beghin maggiore autonomia e mi chiese di sostenerla, e ho saputo che un bel giorno se ne andò sbattendo la porta. Io, senza sbattere la porta, me ne ero andato su RaiDue a fare una striscia serale che si chiamava “Rosso di Sera”. Guglielmi mi disse che ero completamente pazzo.

Prima di lasciare, Donatella Raffai ed io ci salutammo come due profughi e poi ci sentimmo sempre più raramente per gli auguri di rito, poi più nulla. Fu un momento della televisione tanto sfolgorante quanto oppressivo e per Donatella Raffai, un incubo se non una nevrosi. Lei aveva un temperamento generoso e appassionato, piena di affetto con qualche passeggero risentimento, molto elegante e di gran bell’effetto sullo schermo. Dalle teche della Rai si vede come ci guardassimo chiedendoci reciprocamente soccorso mentre the show must go on, fino alla fuga di entrambi attraverso cunicoli diversi.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.