È morta il 13 luglio del 2015, per la fatica sotto il sole cocente di quella torrida estate pugliese, Paola Clemente, 49 anni, la donna ricordata nel libro di Gabriella Genisi “Terrarossa“, a cui è dedicata la terza puntata de ‘Le indagini di Lolita Lobosco‘ in onda questa sera su Rai 1 alle 21. La storia di una donna che ha lavorato per ore, ogni giorno, nei campi della Puglia come bracciante, e che quel lunedì di luglio non riuscì a sopravvivere alla fatica.

Il malore nei campi per tre euro l’ora

Non un lavoro, ma schiavitù: il suo contratto prevedeva un impegno dal lunedì al sabato dalle ore 7 alle 13:30, ma a conti fatti Paola iniziava il suo turno già alle 5,30, un’ora e mezzo prima. tre euro l’ora il valore nel caporalato della Puglia. Il racconto di donne, uomini e disoccupati che aspettano la stagione estiva per lavorare il più possibile, che escono di casa alle prime luci dell’alba per lavorare sotto il sole delle ore più calde della giornata. Paola Clemente, in particolare, era impegnata nell’acinellatura, ovvero la procedura di selezione degli acini per rendere più attraenti i grappoli, e dunque più appetibili sul mercato. Già da qualche ora qualcosa non andava: una forte sudorazione, tanta debolezza sotto i 31 gradi dei campi,  che non le hanno impedito di lavorare, pur attirando l’attenzione delle colleghe. Fin quando è stata fatta sedere su uno sgabello, poi, poco prima delle 8, si è accasciata a terra. È morta sotto un albero, aspettando l’ambulanza, che sarebbe poi arrivata alle 8:30.

Il processo

La sua morte è finita al centro di un’inchiesta, accompagnata dal grido del marito, Stefano Arcuri, anch’egli bracciante stagionale, e dal sostegno della Cgil. La procura di Trani ha avviato un’indagine e portato in tribunale il titolare dell’azienda ortofrutta di Corato (Bari), Luigi Terrone, accusato di omicidio colposo. Al processo erano state ammesse come parti civili il fratello e la sorella della vittima, la Regione Puglia e il Comitato “12 giugno” Vittime del lavoro, del dovere e del volontariato di Taranto”. Per lui, la pm Moramarco aveva chiesto quattro anni. Mancanza di adeguate valutazioni di rischi per la salute e mancanza di sicurezza sul luogo di lavoro ma in primo grado è stato assolto con la formula “il fatto non sussiste”, una decisione contro la quale si ricorrerà in appello perché “contraddittoria ed illogica”. Anche la sua storia ha fatto da apripista alla legge contro il caporalato del 2016.

Redazione

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