La definizione di caporalato è stata coniata da un’indagine conoscitiva della Camera dei Deputati sul tema: Il fenomeno del «caporalato» rappresenta una forma di sfruttamento lavorativo che interessa diversi settori produttivi (quali, in particolare, i trasporti, le costruzioni, la logistica e i servizi di cura), ma che si manifesta con particolare forza e pervasività nel settore dell’agricoltura […]. Lo sfruttamento si sostanzia in forme illegali di intermediazione, reclutamento e organizzazione della manodopera.

I due capisaldi del caporalato

Il caporalato si basa su due capisaldi: lo sfruttamento dei lavoratori poveri nel settore agroalimentare ed il rapporto tra l’economia del primo settore e la criminalità organizzata (nostrana e estera).
Quando si ragiona sul lavoro e sul lavoro povero gli studi dimostrano come il settore primario sia quello maggiormente rappresentato. Jean-René Bilongo, sindacalista e giornalista, descrive come l’agricoltura è in ogni caso il settore maggiormente associabile al lavoro povero. Fra le prime cinque professioni con la maggiore incidenza di lavoratori poveri, quattro sono professioni agricole.
Un settore con salari segnatamente bassi è in connubio anche con le irregolarità su posto di lavoro: su un totale di 438 casi di inchieste avviate per motivi di sfruttamento su posto di lavoro, oltre il 48% hanno come origine il settore primario (dati Istat).
La condizione di irregolarità produce lavoro nero: orari lavorativi incerti, salari insufficienti per vivere degnamente, mancanza di strumenti efficienti per la sicurezza, coperture assicurative e tutto il resto di quelle caratteristiche che rendono un lavoro dignitoso tale.

Caporalato: retribuzione dai 10 ai 30 euro per 12 ore di lavoro al giorno

Il radicamento di questo fenomeno ha portato che interi segmenti di produzione dell’industria del primo settore ad essere delegati ai caporali attraverso la creazione di cooperative spurie, apertura di finte partite Iva con cui i caporali/sfruttatori subappaltano pezzi per la produzione. La retribuzione media varia tra i 10 ed i 30 euro al giorno e si lavora dalle 8 alle 12 ore giornaliere.
Questa situazione di irregolarità e mancanza di controlli diventa terreno florido per il connubio tra l’imprenditoria e la criminalità in quella che viene definita zona grigia: ovvero molteplici situazioni dove le diverse organizzazioni mafiose e criminali registrano contatti con il mondo imprenditoriale, economico e politico. Ed in questa area grigia si sviluppa l’agromafia. L’agromafia è un neologismo con cui vengono descritte le organizzazioni illecite, non solo di stampo mafioso, che operano nel settore agricolo-alimentare realizzando adulterazioni, sofisticazioni, contraffazioni di false etichettature e di marchi di tutela. Il dossier “Agromafie” dell’osservatorio Eurispes dichiara che il business complessivo delle agromafie in Italia ammonta a circa 24,5 miliardi di euro l’anno, ovvero il valore di una finanziaria di governo.

Il sistema normativo italiano ha già una legge che ha come finalità il contrasto al fenomeno: di recente emanazione, la legge 199/2016 dal titolo Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo ha al suo interno misure penali e di reclusione particolarmente restringenti per chi viene incriminato per reati di sfruttamento agricolo e similari. Nei confronti del caporale – ovvero la persona che svolge la funzione di intermediazione illecita tra il datore di lavoro e il lavoratore – quanto per l’imprenditore che ricorre al caporale e sfrutta la manodopera – anche in assenza del caporale- vi sono tra le pene l’arresto in flagranza, la reclusione da 1 a 6 anni, il controllo giudiziario dell’azienda e la confisca dei beni per equivalente.

Se la soluzione penale è usata dai giudici ed ha una sua efficacia la parte della legge che resta inapplicata è quella della proattiva, che serve a combattere le cause del fenomeno. Poiché il caporalato si sviluppa in contesti di lavoro agricolo e stagionale il caporale sopperisce al ruolo delle istituzioni nella ricerca dei lavoratori per l’imprenditore, nel trasporto degli stessi nei campi, nel concedere loro vitto e alloggio e nella paga. La legge 199/2016 prevede, infatti, misure per la sistemazione logistica e il supporto dei lavoratori, anche attraverso il coinvolgimento di regioni, province autonome e amministrazioni locali, delle rappresentanze dei datori di lavoro e
dei lavoratori del settore e delle organizzazioni del terzo settore nonché idonee forme di collaborazione con le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo di qualità anche ai fini della realizzazione di modalità sperimentali di collocamento agricolo modulate a livello territoriale.

Oltre alla politica nazionale anche le P.A. comunali e provinciali hanno un ruolo fondamentale nel contrasto al problema e vari studiosi e sociologici esperti del settore hanno espresso alcune soluzioni utili per gli enti locali su diversi piani di azione.
Il 47% dei lavoratori agricoli stagionali sono stranieri non comunitari, ed i tempi ristretti del permesso di soggiorno per ricerca del lavoro portano gli stessi ad accettare anche condizioni di sfruttamento. La possibilità di poter allungare i tempi di soggiorno con un minimo di tempistica quantificabile in un anno solare permetterebbe agli stranieri extracomunitari di non precipitare nell’irregolarità.
Attualmente un migrante, senza permesso di soggiorno, che può lavorare anche subito per le sue capacità all’interno di un’impresa del primo settore non è possibile. La mancanza del permesso di soggiorno porta il soggetto che non lo possiede ad essere irregolare, e a poter lavorare sono in contesti illeciti. Superare questa dinamica attraverso la concessione del permesso di soggiorno nel momento in cui il datore di lavoro, notando la professionalità del futuro lavoratore, porta alla conclusione del contrasto e sarebbe una politica pratica e dinamica per il contrasto al caporalato.

Jonathan Piccinella

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