Sono cinque i latitanti di massima pericolosità ricercati dalle forze dell’ordine italiane. Si tratta di due boss di Cosa Nostra (Matteo Messina Denaro e Giovanni Motisi), un camorrista (Renato Cinquegranella, Raffaele Imperiale è stato arrestato il 4 agosto 2021 a Dubai) e due responsabili di ‘gravi delitti’ (Attilio Cubeddu e Graziano Mesina), entrambi sardi che, pur non facendo parte di organizzazioni criminali di spicco, sono ricercati in quanto responsabili di delitti di particolare gravità ed efferatezza, tali da essere percepiti come soggetti socialmente pericolosi.

E’ quanto emerge dall’ultimo report (17 agosto 2021) diffuso dal Ministero dell’Interno e redatto dalla direzione centrale della Criminalpol quale sintesi dell’attività svolta dal Gruppo integrato interforze per la ricerca dei latitanti (Giirl). Dal 2010 al 2020 sono stati assicurati alla giustizia 22 latitanti di massima pericolosità, di cui 17 arrestati in Italia, e 110 latitanti pericolosi, di cui 69 nel nostro paese. All’estero spiccano gli arresti nell’ultimo anno di due esponenti di spicco della ‘ndrangheta, Francesco Pelle (scovato in Portogallo lo scorso 29 marzo ed estradato in Italia a settembre) e Rocco Morabito (rintracciato in Brasile il 24 maggio), entrambi inseriti nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità ed in attesa di estradizione.

Per quanto riguarda, invece, i latitanti pericolosi, l’elenco include, attualmente, 62 soggetti, di cui 18 affiliati alla ‘ndrangheta, 3 alla camorra, 4 alla criminalità pugliese, 2 a cosa nostra, 2 all’area dei sequestri di persona e 33 responsabili di ‘gravi delitti’. Ai latitanti di massima pericolosità, il sito web del Ministero dell’Interno dedica un’apposita sezione, pubblicandone le foto e una descrizione del profilo criminale. La finalità di tale iniziativa è duplice: da un lato, far conoscere i soggetti più pericolosi ricercati dallo Stato, dall’altro, stimolare lo “spirito di collaborazione” della collettività con le Forze dell’ordine nello svolgimento dell’attività di ricerca.

Matteo Messina Denaro e le leggende sulla sua latitanza

Le due ‘primule rosse‘ di Cosa Nostra figurano anche nell’elenco dei più ricercati a livello europeo. Il più popolare resta Messina Denaro, “u siccu”, “il magro”, letteralmente sparito nel nulla nel 1993, l’anno delle bombe a Milano, Firenze e Roma, dopo una vacanza a Forte dei Marmi con i fratelli Graviano: è ricercato in campo internazionale per “associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro”. Figlio di Francesco, capo della cosca di Castelvetrano (Trapani) e del relativo mandamento, nell’ultima tranche dei suoi 59 anni ha visto farsi “terra bruciata” intorno a colpi di arresti e sequestri di beni ma continua a restare imprendibile. Protagonista di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia – Messina Denaro secondo molti inquirenti non sarebbe il capo di Cosa nostra ma sicuramente continua a rivestire un ruolo di assoluto rilievo: la rivista “Forbes” lo ha incluso tra i dieci latitanti più pericolosi del mondo.

Difficile distinguere il vero e il falso in quello che di Messina Denaro raccontano informatori e pentiti: che, beffando chi lo bracca da anni, vivrebbe in Sicilia, spostandosi di continuo; che si sarebbe sottoposto in Bulgaria (o in Piemonte) a una plastica ai polpastrelli e al viso; che avrebbe seri problemi agli occhi e ai reni, tanto da aver bisogno della dialisi; che godrebbe della protezione dalla ‘ndrangheta. Di volta in volta, c’è chi lo ha collocato sulle tribune del “Barbera” per un Palermo-Sampdoria, chi su una spiaggia greca, in vacanza con la compagna Maria, chi in una casa di Baden, in Germania. Ma l’unica certezza resta la sua irreperibilità dal 1993.

Giovanni Motisi e il sospetto che possa essere morto

Giovanni Motisi, “u pacchiuni”, “il grasso”, 59 anni, palermitano doc, ricercato dal ’98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage. Ha l’ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Totò Riina, secondo un collaboratore di giustizia presente anche quando si parlò per la prima volta di ammazzare il generale Dalla Chiesa. Nel ’99, durante la perquisizione della sua villa di Palermo, spunta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie Caterina, bigliettini recapitati da ‘postini’ fidati assieme a vestiti e regali. Ed è dello stesso anno l’ultima ‘apparizione’ certa in Sicilia di “u pacchiuni”, alla festa di compleanno della figlia: nelle foto ritrovate diversi anni dopo risaltano le pareti coperte con lenzuola bianche per non far riconoscere il posto. Da allora, più niente tanto da alimentare il sospetto – ricorrente nelle grandi latitanze – che Motisi possa essere morto. Un’altra ipotesi e’ che abbia cercato, e trovato, riparo in Francia: l’esattore del racket Angelo Casano ha raccontato che nel 2002 Motisi ‘perse’ la reggenza di Pagliarelli a vantaggio di Nino Rotolo e che per un paio d’anni si nascose nell’Agrigentino, ‘terra’ di Giuseppe Falsone. Boss arrestato nel 2010 dalla Gendarmeria francese a Marsiglia

Renato Cinquegranella e il brutale omicidio

Elemento apicale della camorra, anche di Renato Cinquegranella, 72 anni, si sono praticamente perse le tracce dal 2002. Ricercato da quasi venti anni per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro, originariamente legato alla “Nuova Famiglia“, storici rivali della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, di lui resta negli archivi una vecchia foto sgranata in bianco e nero, calvizie incipiente, occhiali, baffi neri e sguardo fisso nell’obiettivo. Un volto come tanti, eppure il suo nome compare nelle cronache giudiziarie di due dei delitti che più hanno scosso Napoli: l’omicidio di Giacomo Frattini, alius “Bambulella”, soldato della Nco, torturato, ucciso e fatto a pezzi nel gennaio dell’82 (un delitto efferato per vendicare l’omicidio in carcere di un fedelissimo dell’allora boss di Secondigliano, Aniello La Monica. Il corpo di Bambulella fu trovato avvolto in un lenzuolo nel bagagliaio di un’auto, mentre la testa, le mani e il cuore furono trovati chiusi in due sacchetti di plastica all’interno dell’auto) e il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, ‘firmato’ nel luglio dello stesso anno dalle Brigate Rosse cui Cinquegranella diede supporto logistico. L’episodio confermò l’esistenza di un ‘patto scellerato’ tra le Br e i capi-zona della camorra del centro di Napoli. Dal dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, finora senza esito.

“Fu già arrestato una volta ma approfittò di un permesso per evadere e da allora è irreperibile” ha sottolineato nel dicembre 2020 il procuratore di Napoli Giovanni Melillo.

Attilio Cubeddu e l’ipotesi che sia morto

Attilio Cubeddu, nome storico dell’Anonima sequestri sarda, nasce ad Arzana, in provincia di Nuoro, nel 1947 e dopo diversi reati commessi da giovanissimo si scopre una vocazione per i rapimenti: partecipa tra gli altri a quelli Rangoni Machiavelli, Bauer e Peruzzi, fino all’arresto del 1984 a Riccione. La condanna a 30 anni sembra l’inizio della fine, ma lui che è furbo e determinato si comporta da detenuto modello e riesce ad ottenere diversi permessi premio: da uno di questi, concessogli nel gennaio del 1997 a Badu ‘e Carros per vedere moglie e figlie, “dimentica” di rientrare. E’ da quei giorni che diventa praticamente un fantasma. Un fantasma che si materializza solo nei giorni del sequestro Soffiantini, di cui è implacabile carceriere (“il più cattivo di tutti”, secondo l’imprenditore bresciano) e che polizia e carabinieri cercano inutilmente ovunque: in Corsica, in Spagna, in Germania, in Sud America e, naturalmente, in Sardegna, dove secondo alcuni avrebbe trascorso gran parte della sua latitanza, protetto da un network di fiancheggiatori. Negli anni si è fatta strada l’ipotesi che in realtà sia morto, ucciso da un complice per una storia di soldi: ma nel dubbio, anche per lui la caccia resta aperta.

Graziano Mesina e l’ultima fuga

Altro sardo doc – di Orgosolo – è Graziano Mesina, per gli amici ‘Gratzianeddu‘, penultimo di undici figli e primatista di evasioni: ventidue, di cui 10 riuscite, alcune in modo romanzesco. Il suo ‘esordio’ criminale è precocissimo, denunciato a 14 anni per il possesso abusivo di un fucile, e il primo tentato omicidio arriva a 19 anni: ferisce a colpi di pistola, in un bar del suo paese – ma lui si dichiara estraneo – un pastore ‘rivale’ della sua famiglia guadagnandosi una condanna a 16 anni. Trasferito dal carcere di Nuoro a quello di Sassari per un altro processo, alla stazione di Macomer salta giù dal treno ma viene riacciuffato poco dopo. La fuga è solo rinviata: il 6 settembre scavalca una finestra e scende lungo un tubo dell’acqua dell’ospedale in cui era stato ricoverato e resta per tre mesi nascosto in montagna. E’ solo il primo di una lunga serie di dentro e fuori: gira le carceri di mezza Italia e da tutte o quasi in momenti diversi fugge o tenta la fuga. Nel ’92, durante il sequestro del piccolo Farouk Kassam, Gratzianeddu veste addirittura i panni del mediatore nel tentativo di trattare la liberazione. Nel 2004, ottenuta la grazia, lascia il carcere di Voghera e torna da uomo libero a Orgosolo dove si reinventa guida turistica ma meno di dieci anni dopo finisce di nuovo in manette, stavolta per droga. Il 2 luglio 2020 i carabinieri bussano alla sua porta per notificargli il verdetto con il quale la Cassazione ha respinto il suo ultimo ricorso ma non lo trovano: Mesina, a 79 anni, è di nuovo irreperibile.

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Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.