Quali sono le priorità
Cibo, geopolitica e stabilità: agricoltura alle prese con una “policrisi”. Martina: “Le produzioni basiche tornano al centro”
In uno scenario internazionale dominato dall’incertezza, il settore agricolo è alle prese con una “policrisi” che si riflette nel mondo. Maurizio Martina, vicedirettore della FAO, guarda alle soluzioni: “Sicurezza alimentare, adattamento climatico e mercati aperti”
Il cibo è tornato al centro dell’economia globale come fattore di stabilità, vulnerabilità e potere. Tra shock climatici, conflitti armati e tensioni commerciali, la sicurezza alimentare non è più solo una questione umanitaria, ma un nodo strutturale che incide su inflazione, crescita, coesione sociale e rapporti geopolitici. In questo scenario, l’agricoltura si conferma un settore strategico chiamato a trasformarsi rapidamente, integrando innovazione, sostenibilità e regole di mercato più eque. La prospettiva delle organizzazioni internazionali restituisce un quadro in cui resilienza dei sistemi produttivi, tutela dei produttori più fragili e cooperazione multilaterale diventano leve decisive per evitare che il cibo si trasformi in un ulteriore fattore di instabilità globale. In questo scenario le filiere italiane hanno una missione, secondo Maurizio Martina, vicedirettore della FAO: «Esportare un modello qualitativo e organizzativo di successo».
Nel suo ruolo di vicedirettore della FAO, quali sono oggi le priorità più urgenti nella gestione del cibo come fattore di stabilità economica e politica globale?
«Clima, conflitti e crisi economiche sono le tre grandi sfide dell’insicurezza alimentare oggi. Spesso si incrociano e si sovrappongono in contesti che devono affrontare vere e proprie “policrisi”, con riflessi devastanti su milioni di persone ed interi territori. Le nostre priorità sono legate alle azioni per aiutare le comunità più vulnerabili, partendo dalla trasformazione dei loro sistemi agricoli e alimentari perché siano più resilienti. Questo significa affrontare l’inflazione alimentare, la modernizzazione dei sistemi produttivi, l’innovazione e le tecnologie per sprecare meno acqua e sviluppare colture più resistenti per adattarsi al cambiamento climatico».
Quanto il controllo delle filiere agroalimentari è diventato una leva geopolitica, al pari di energia e materie prime strategiche?
«Il controllo delle materie prime agricole è sempre stato un tema chiave, ma nella prima fase della globalizzazione sembrava meno rilevante grazie ai mercati aperti. Oggi, di fronte a un mondo multipolare e alle tensioni generate da conflitti e crisi geopolitiche, riscopriamo la centralità di produzioni basiche come soia, riso, mais e grano. Attorno a queste materie prime si giocano responsabilità che vanno ben oltre la loro dimensione produttiva».
Guerre, tensioni commerciali e cambiamento climatico stanno ridisegnando la mappa della sicurezza alimentare: quali rischi vede più concreti nel breve periodo?
«Temo l’aggravarsi di crisi storiche come quella del Sahel. Il rischio è che diventino strutturali, in particolare nel continente africano, che resta l’area globale più in sofferenza quando si parla di lotta alla fame».
Guardando al 2026, quali sono le grandi sfide che il sistema alimentare globale dovrà affrontare sul piano economico, produttivo e sociale?
«In sintesi direi: adattamento climatico, miglioramento della produttività, innovazione diffusa e mercati aperti con regole giuste, capaci di tutelare meglio i piccoli e medi produttori».
La transizione ecologica può convivere con l’esigenza di garantire cibo accessibile e sufficiente per tutti? Dove si gioca l’equilibrio?
«La questione centrale oggi è l’adattamento climatico: come le diverse agricolture del pianeta riescono a trasformarsi senza perdere la propria identità, reggendo l’urto del cambiamento che stiamo già vivendo. Si lavora su temi complessi come colture, suoli, acqua e nuovi modelli produttivi».
In questo contesto, quale contributo specifico possono dare le filiere agroalimentari italiane, tra qualità, export e resilienza?
«L’esperienza agroalimentare italiana è forte perché riconosciuta per qualità e capacità trasformativa. Il lavoro fatto con strumenti come le Indicazioni Geografiche è stato decisivo. Esportiamo un modello qualitativo e organizzativo importante, soprattutto per i piccoli e medi produttori: consorzi, cooperative, distretti e filiere dimostrano che si può stare nei mercati globali senza snaturare la pluralità dei territori e senza omologarsi».
Quanto contano oggi innovazione tecnologica, dati e ricerca per rafforzare le filiere e ridurre le vulnerabilità del sistema?
«Sono e saranno sempre più cruciali. Le analisi predittive sono essenziali per un’economia a cielo aperto come quella agricola. La rivoluzione digitale è già in atto e la vera sfida è renderla equa, ampliando il più possibile la platea di chi può beneficiarne».
Che tipo di politiche economiche e di cooperazione internazionale servono per evitare che il cibo diventi un ulteriore fattore di instabilità globale?
«Servono mercati aperti, regole più forti per evitare distorsioni e un’azione decisa sui costi nascosti del cibo, a partire da energia e logistica».
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