Questa non è Ibiza
Cilento, un paradiso di semplicità e lentezza dove tutto suggerisce: “Rallenta, decelera, fino a fermarti”
Un susseguirsi di borghi e scorci. Qui la vista della luce del sole che cade sul mare colpisce l’anima.
Quando, come chi scrive, si è nati in costiera sorrentina (io, per la precisione, a Vico Equense), le vacanze estive sono concentrate necessariamente lì: tutti vogliono venirci, e tu che fai, te ne vai altrove? Ed obiettivamente la costiera sorrentina è un bel posto. Per molti anni, il mare ha significato per me Seiano, Massa Lubrense, magari Nerano, Capri, Ischia. Certo, c’è la Grecia, che incarna la Luce del Mediterraneo a cui tutti aspiriamo per rinascere. Ma poi, inaspettato, è arrivato il Cilento.
Il Cilento è un territorio molto vasto e articolato. Agropoli, per chi venga da Salerno, ne segna l’inizio, ma si arriva sino a Sapri, addirittura sino ad Ascea. Qualche giorno fa ho accompagnato un amico a prendere possesso della sua stanza in un bellissimo bed and breakfast di Rocca Cilento, l’Antico Convento, e lì ho appreso dal proprietario, il gentilissimo Paolo, che il vero Cilento è quello che si sviluppa intorno ad Agropoli e Castellabate, fino – ma proprio esagerando – ad Acciaroli. Non so se sia corretto, né vorrei urtare la sensibilità di altri cilentani che abitano zone molto più distanti da Salerno (pensiamo a Camerota, Palinuro o Padula). Ma è a questo lembo di terra che vorrei dedicarmi, perché ho imparato a conoscerlo meglio negli ultimi anni e perché gli devo molti istanti di pace, di serenità, di riassortimento dei campi dell’immaginazione inariditi dalle preoccupazioni quotidiane.
Se c’è una cosa che mi colpisce l’anima ogni volta che ritorno in Cilento, prendendo la strada in ripida salita che conduce ai paesini interni di Ogliastro Cilento e Prignano, è la vista della luce del sole che cade sul mare, vista da lassù, all’incirca a cinquecento metri dal livello del mare. Una colata d’oro abbacinante che, per chi percorre le strade collinari in auto, costituisce il punto di arrivo della discesa dei monti e dei colli su cui sorgono paesi microscopici, attorniati da una natura opulenta. Il corpo di questa terra, del suo interno che poi digrada verso il mare, è infatti imponente, matronale: le campagne umbra o marchigiana, per esempio, sono più dolci, più intime, anche più addomesticate. Qui, qualcosa di severo, di indomabile riempie di sé la conformazione del territorio, a volte con un’asprezza quasi arcigna, com’è dei monti che circondano il piccolo borgo di Trentinara, notoriamente denominato anche terrazza del Cilento, per il fulgore del tramonto sul mare che si gode dal paese da diverse prospettive.
Nei mesi estivi, com’è noto, sagre e feste si susseguono senza sosta rendendo inesigibile, per causa di forza maggiore, qualsiasi tentativo di attenersi a un regime dietetico. A Trentinara, in particolare, si celebra la festa del pane, e il paese si anima di angoli attrezzati per ospitare migliaia di visitatori che accorrono non solo a mangiare, o a gustare il tramonto e il panorama, ma a respirare un’aria più pura, più semplice. Questa parte del Cilento, in effetti, a me sembra (come mi è accaduto in terra lucana, anche) portatrice di una dimensione ancora gentile, di sobria ospitalità, e di sapori essenziali: ed erano cose che mi mancavano in costiera sorrentina, e che invece, per esempio, ritrovo sempre in Grecia e nell’isola che più mi è cara, Creta. E allora innanzitutto quel che va consigliato al visitatore del Cilento che si distende intorno ad Agropoli è di percorrere in lungo e in largo – ma con attenzione e senza fretta, soprattutto nel tardo pomeriggio quando le giornate estive si approssimano al tramonto – questo corpaccione interno di colli e financo montagne, per scoprire la connessione inestricabile tra storia naturale, storia umana e storia del paesaggio che qui mi sembra sempre evidente al punto di commuovermi come un’ovvietà importante ma sempre, tuttora, sistematicamente trascurata dai decisori pubblici e dalla società civile nel suo insieme.
Ecco: si scorreranno, in mezzo a intensissime ondate di odore di fichi, le stradine di Vatolla, dove sorge intoccato in gran parte un castello medievale nel quale per alcuni anni abitò – come precettore – Gianbattista Vico (sotto una delle torri del castello c’è una fontana che riporta una frase del Vico che merita di essere riportata qui: l’ordine dell’idee dee procedere secondo l’ordine delle cose); Vatolla è frazione del paese di Perdifumo, dove moltissimi sono i luoghi per sostare e contemplare la ricchezza, la maestosità contadina di questo territorio; Rocca Cilento, dove sorge un immenso castello medievale, da poco restaurato, e un delizioso convento francescano (qui vado a messa alle 8 del mattino – quando mi sveglio in tempo… – e le signore cilentane, che tendono a pronunciare la “c” come se fosse una “g”, intonano sempre e immancabilmente lo stesso canto con voci possenti dotate di un registro centrale invidiabile); Torchiara, con il suo centro storico elegante, dove le vestigia di palazzi importanti sono ancora ben visibili e raccontano l’importanza di questi luoghi in tempi lontani, centro storico che termina, come la punta finale di una morbida coda felina, sulla terrazza del Paradiso, lì dove sorge la piccola chiesa del Santissimo Salvatore (tutte queste chiese minute sono tenute in perfetto stato, linde e profumate, custodite con dignità indefessa: ad Omignano qualche sera fa ne abbiamo addirittura trovata una ancora aperta a sera inoltrata che profumava tutta di cera per pavimenti).
Mi sono soffermato su questi luoghi, sull’architettura secolare dei loro edifici e la vastità ospitale delle loro zone più distanti dal mare perché, invecchiando, ho compreso come – per godere del mare – occorre ritornare a guardarlo un po’ da lontano, occorre rintanarsi, a sera, in una casa in collina più fresca e silenziosa, dai cui cortili sollevare le teste a rintracciare visibilissime costellazioni. Da queste colline puoi gioire dei fuochi d’artificio che esplodono nelle località balneari; da questi piccoli borghi, puoi apprezzare il conforto delle campane che suonano mattina e sera, nei festivi e nei feriali, e segnano il tempo, danno un ritmo, ricordano la semplicità di un’armonia in cui iscrivere le nostre giornate stolidamente frenetiche. Nella casa dove dormo quando vado in Cilento, nella piccola frazione di Matonti, che afferisce al comune di Laureana Cilento, il sole tramonta sopra Capri con un’esattezza fiammeggiante e geometrica che ti intenerisce e ti sgomenta allo stesso tempo: percepisci la tua piccolezza, e anche la fragilità di un paesaggio e di una storia millenari, l’importanza di riconoscerne e tutelarne l’identità, perché è una cosa che ha radicalmente a che fare con la nostra vita, col nostro benessere, con la nostra sopravvivenza.
Come in Grecia, qui tutto trasmette un ordine imperioso con un sorriso disincantato: rallenta, decelera, fino a fermarti. E la cosa mi si è resa evidente quando si rientra a casa, di sera, dopo aver scoperto l’ennesimo borgo, un’altra meravigliosa prospettiva su mari e monti, uno scorcio favolistico di Castellabate, arroccata su un monte a dominare le località di mare: Santa Maria e San Marco. Veniamo dalla città abituati a guidare l’auto a una velocità sostenuta. Quel che importa è arrivare ed è arrivare presto. Il cammino in sé ha scarsa importanza. Quando si arriva in Cilento, dopo una sagra o una cena il rientro a casa è immerso in percorsi bui, fittissime tenebre con lunghi tratti privi di illuminazione pubblica, circondati a destra e a manca da boschi che lambiscono la strada quasi a catturarla o ricoprirla. Quando si percorrono quelle strade, bisogna per forza rallentare. Anche perché, d’estate, capita di continuo di incontrare delle giovani volpi esterrefatte dall’abbaglio dei fari: escono alla ricerca di cibo. Addirittura a volte cominciano a fidarsi degli uomini ed alcune si avvicinano, circospette, ai ristoranti, in attesa di qualche resto.
Qualche sera fa, ritornavamo in auto da Perdifumo verso Matonti: io ero accanto al guidatore e gli dicevo di andar piano, perché poteva spuntare una volpe da un momento all’altro e non dovevamo far male a nessuno. Chi potrebbe andarsene a dormire tranquillo col peso di una volpe investita? Sul sedile posteriore viaggiava con noi un’amica cilentana, una ragazza nata e cresciuta a Matonti, una donna dal cuore semplice e grande. Si era fatta mettere in una scatola i residui della pizza da portare al suo cane. Quand’ecco che, dietro l’ennesima curva tenebrosa, ci vediamo davanti i due occhi brillanti di una volpe: ci fissa, sgomenta. E l’amica mi comincia a gridare: ti prego, ti prego, scendi tu dall’auto e dalle i resti della pizza. Io subito sono accorso a lanciare verso la piccola volpe quel poco cibo che ci portavamo dietro. E quando sono rientrato in auto, l’amica non finiva di ringraziarmi, perché avevamo fatto un’opera di bene: ecco, per me, tutto questo, dal castello di Rocca, ai ripiegamenti di monti e colline secolari, dalla sagra del pane e della cipolla alla commozione della mia amica per aver dato sollievo a una volpe, tutto questo è la terra antica e meravigliosa del Cilento, uno degli innumerevoli tasselli che l’Italia ci dona per auto-esiliarci almeno qualche giorno. Per poter accedere a una visione più chiara e matura dei nostri giorni, e della storia, e del futuro, di questo Paese.
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