Come uscire dalla bufera sanitaria, economia e sociale? Con un governo per la salute nazionale

Tre Dpcm in dieci giorni. Un lockdown non dichiarato. Un governo che non è più capace di nascondere le proprie divisioni interne. Un paese che non capisce più se tali divergenze riguardino le scelte di politica sanitaria ed economica o conflitti che, con l’emergenza, non hanno nulla a che fare. L’assenza di punti di riferimento chiari che diano una chiave sensata e comprensibile del perché la situazione è così drammatica: se sia solo colpa del covid e quanto invece non dipenda dall’incapacità di prevedere per tempo quello che sarebbe successo. E di porvi riparo.

L’evidente inadeguatezza delle politiche sanitarie che dimostrano la tragica insufficienza delle infrastrutture che dovrebbero sostenere l’impatto della seconda ondata: terapie intensive insufficienti, scarsità di reparti ospedalieri per gli altri ricoveri covid, riduzione dei presìdi per altre patologie gravi, medicina del territorio da inventare, scarsa e lenta offerta di tamponi, ritardi nelle risposte delle Asl, assenza di strutture per la quarantena al di fuori delle abitazioni con altri conviventi, trasporti pubblici inadeguati a evitare i contagi. L’oscurità vergognosa sui dati. E si potrebbe continuare. L’incubo di un déjà vu che non promette una farsa, ma semmai una tragedia. La disperazione, la sfiducia, la rabbia, la frustrazione di intere porzioni del Paese, che si sentono ingannate da una troppo precoce e strombazzata promessa di ritorno alla normalità e che invece si trovano di nuovo colpite, quasi a caso, da misure modificate adesso ogni tre giorni dopo tutto lo sforzo compiuto per osservare le precauzioni richieste, investendo risorse, lavoro e speranze.

E la sensazione, drammatica e preoccupante, che sarebbe necessario un commissario dell’emergenza, competente e affidabile, e soprattutto capace di prendere misure decise, senza il rumore di fondo di questo blaterare ormai insopportabile di chiunque se ne esce con la sua personale diagnosi o ricetta. A questo punto non è per nulla chiaro se la politica sia in grado di arginare l’ondata di sfiducia che sale dal Paese e che è esattamente speculare a quella fiducia che nella prima ondata i cittadini italiani avevano generosamente offerto ai propri governanti. Perché raggiunto il punto di non ritorno, lo tsunami sarà devastante. Ma se una speranza la politica ce l’ha ancora, e dobbiamo tutti sperarlo, ci sono almeno due paradossi che vanno rapidamente superati.

Il primo paradosso sta nella sproporzione tra la collocazione del Presidente del Consiglio in cima alla catena di comando e la sua condizione politica di essere investito di un mandato che è di pura mediazione. Una sproporzione resa evidente se si compara la forza di un potere monocratico, simboleggiato, almeno formalmente, dai Dpcm e dagli annessi ormai continui appelli plebiscitari al Paese, e la debolezza politica della sua condizione, senza investitura popolare, senza una constituency propria, con l’obbligo di mediare tra partner di maggioranza ingaggiati in un continuo braccio di ferro per ridefinire i rapporti di forza.

Il secondo paradosso è quello di un’opposizione oscillante tra la contestazione frontale in attesa di diventare alternativa e la rapsodica apertura ad una collaborazione priva di qualsiasi regola di ingaggio, per responsabilità un po’ propria e un po’ della maggioranza. Prima che accada il peggio bisogna liberarsi da questi paradossi. E se il problema è tecnicamente di salute nazionale, è a un governo per la salute nazionale che bisogna pensare. Non un governo tecnico dalla durata indefinita, né un’ammucchiata consociativa per annullare le responsabilità. Ma, appunto, un governo per salute nazionale. Che abbia cioè lo scopo di fare letteralmente sopravvivere il paese durante la bufera sanitaria, sociale ed economica e restituirlo alla normalità politica alle prossime elezioni. Un governo in seduta permanente (e con esso il Parlamento).

Capeggiato da qualcuno che abbia competenze specifiche di gestione delle crisi, doti di pragmatismo e capacità decisionale, sotto la garanzia vigile del Presidente della Repubblica. Presieduto da qualcuno che, con un patto d’onore, si impegni a rinunciare a qualsiasi velleità politica dopo la fine del mandato. Fantascienza si dirà. Sì fantascienza. Perché un tale scenario imporrebbe sacrifici di tutti gli attori coinvolti. Del Presidente del Consiglio i cui margini politico-operativi hanno ormai visibilmente raggiunto il più estremo limite cui le sue indubbie capacità sono riuscite a condurlo.

Dell’attuale maggioranza che ha, da troppo tempo, smarrito la propria interna ragione sociale e la cui sopravvivenza è troppo sproporzionatamente debitrice verso il contesto esterno che l’ha resa indispensabile.  Dell’attuale opposizione che deve, una volta per tutte, dimostrare di avere a cuore l’interesse nazionale, e non di volere aspettare sulla sponda del fiume un cadavere che potrebbe essere quello del paese. Fantascienza appunto. Per questo non accadrà.  A meno di un miracolo. Del quale purtroppo ci sarebbe tutta la necessità. Prima del disastro.