La protesta
Conte sceglie il lockdown della cultura: la chiusura di cinema e teatri è un colpo devastante

Un Dpcm che ha compattato l’intero comparto della cultura italiana: dagli attori ai registi, dai cantanti ai produttori fino alle ‘semplici’ maestranze. Tutti uniti nella contrarietà alle misure previste dal Dpcm firmato nella notte tra sabato e domenica dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte che impone la chiusura di cinema e teatri nel tentativo di contenere l’epidemia di Coronavirus nel paese.
Che le misure previste dall’esecutivo siano estremamente penalizzanti per un comparto già duramente colpito dal primo lockdown, che aveva reagito investendo pesantemente per farsi trovare pronto alla riapertura e che non ha registrato picchi di contagio, lo ha detto anche Walter Veltroni.
L’ex ministro per i Beni culturali del governo Prodi, in collegamento a a “Che Tempo Che Fa” su Rai Tre, non le ha mandate a dire: “Siamo sicuri che il problema siano i bar e i ristoranti e non i trasporti pubblici? – si chiede l’ex ministro – Metropolitane, autobus e treni regionali dei pendolari sono terribilmente affollati. Quelle sono delle bombe di contagio possibili, credo più di quanto possano essere bar e ristoranti. Poi, è giusto autorizzare le messe e sospendere l’attività di cinema e teatri dove non c’è stato alcunché di contagi?”.
“Siamo sicuri che il problemi siano i bar e i ristoranti e non siano i trasporti pubblici? È giusto autorizzare le messe e non autorizzare i teatri e i cinema dove non c’è stato nulla?”
– @VeltroniWalter a #CTCF da @fabfazio su @RaiTre 📺 pic.twitter.com/czzsKqsLLF
— Che Tempo Che Fa (@chetempochefa) October 25, 2020
Il malessere e la rabbia dei lavoratori della cultura sono ben rappresentati anche dalla lettera firmata da Riccardo Muti, il celebre direttore d’orchestra, al premier Conte. Nella missiva pubblicata dal Corriere della Sera l’ex direttore della Scala di Milano parla di “decisione grave” nel chiudere sale da concerto e teatri. “L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo. Definire, come ho ascoltato da alcuni rappresentanti del governo, come «superflua» l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità. Tale decisione non tiene in considerazione i sacrifici, le sofferenze e le responsabilità di fronte alla società civile di migliaia di Artisti e Lavoratori di tutti i vari settori dello spettacolo, che certamente oggi si sentono offesi nella loro dignità professionale e pieni di apprensione per il futuro della loro vita”, scrive Muti a Conte.
Ma nelle ultime ore si sono susseguiti numerosi appelli, proteste (pacifiche) e lettere da parte del mondo della cultura affinché il governo faccia marcia indietro. L’attore Paolo Rossi ha protestato domenica sera davanti al teatro Strehler di Milano, su Twitter invece sono comparse le critiche e gli appelli di personaggi noti come Gabriele Muccino, Lino Guanciale, Simona Ventura, Marco Bellocchio. Un fronte unito e compatto per ottenere dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini di tornare sui suoi passi per non far morire il settore.
Un dolore la chiusura di teatri e cinema. Ma oggi la priorità assoluta è tutelare la vita e la salute di tutti, con ogni misura possibile. Lavoreremo perché la chiusura sia più breve possibile e come e più dei mesi passati sosterremo le imprese e i lavoratori della cultura pic.twitter.com/q9HnsJYNDe
— Dario Franceschini (@dariofrance) October 25, 2020
Proprio il ministro ha risposto questa mattina, con un video su Facebook, alle proteste del mondo della cultura, definite “comprensibili” perchè “c’è grande preoccupazione in particolare in un Paese come l’Italia che ha la cultura al centro della propria essenza e della propria natura”. Ma il ministro dei Beni culturali ha anche rimarcato, difendendo quindi la scelta dell’esecutivo, “la preoccupazione per i danni materiali che potranno ricevere i lavoratori e le imprese del settore, quelli più conosciuti e quelli meno conosciuti soprattutto”.
Franceschini ha infatti “l’impressione che non si sia percepita la gravità della crisi, non si sia percepita quali sono i rischi del contagio in questo momento. E del resto verrebbe da chiedersi perché quando sono stati chiusi ugualmente i cinema e i teatri in marzo non c’è stata questa ondata di protesta. Forse non si è capito a che punto siamo“.
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