Giuseppe Conte ha demolito il campo largo: da ieri, con conferenza stampa dove l’ha messo in chiaro, la coalizione di centrosinistra non esiste più. Nessuna alleanza organica, nessuna garanzia di collaborazione territoriale, nessun automatismo con il Partito Democratico. Il leader del Movimento 5 Stelle ha tracciato una linea netta e definitiva: il M5S è e resterà una forza “progressista indipendente”. Il risultato è un siluro alla tenuta dell’opposizione e un assist in piena regola al governo Meloni.

Altro che coalizione

Conte ha scolpito nella roccia l’identità del Movimento. Altro che coalizione: non ci saranno legami «mani e piedi» con alleati che non si riconoscono nei valori grillini. Ogni Regione farà storia a sé. Il Movimento si riserva il diritto di dire sì o no, quando e dove vorrà. Una precarizzazione permanente del centrosinistra, camuffata da “rigore etico”. Ora, viene da chiedersi: lo sapeva Goffredo Bettini, stratega dell’asse giallorosso, che questi erano i veri intendimenti dell’uomo che ha sostenuto in tutte le occasioni? C’era Bettini, dietro a Conte, quando il leader M5S dichiarava di voler costruire una forza progressista, alternativa alla destra. Ieri dov’era? Forse, complice agosto orami arrivato, i guru, gli sherpa e gli spin doctor dem si sono distratti. E soprattutto, a cosa servono le strategie, le coalizioni, i candidati comuni, se poi il leader M5S si riserva il diritto di sfilarsi «se dovessero emergere nuovi elementi»?

La richiesta di dimissioni di Sala

Lasciato libero, il leader del Movimento rivela la sua natura. E marca le distanze. L’attacco più violento Conte lo riserva al sindaco di Milano Beppe Sala, colpevole di un presunto «far west edilizio» e del “Salva-Milano”, una norma voluta e appoggiata anche dal Pd. E così, mentre l’ex premier ne chiede le dimissioni con toni da tribunale popolare, il Partito Democratico continua a ringraziarlo per il sostegno a Matteo Ricci nelle Marche. Un paradosso: mentre a Milano il M5S chiede la testa di Sala, a Firenze storce il naso su Giani, e a Ancona firma un sostegno a Ricci con mille distinguo. Nell’inedito (e inusitato) ruolo di censore, ecco l’avvocato di Volturara Appula ergersi a decisore delle indagini preliminari a carico dell’ex sindaco di Pesaro. Mancando prove schiaccianti, al momento Conte decide di non condannare Ricci. Con il Pd che – avendo evidentemente perso ogni barlume di amor proprio – ringrazia Conte per la magnanimità della decisione.

Le mani avanti

Ma attenzione: anche su Ricci Conte tiene a mettere le mani avanti. Dice che oggi «non ci sono elementi per chiedere un passo indietro», ma se domani qualcosa cambiasse, «ne trarremo le conseguenze». In pratica, una cambiale a scadenza variabile, con firma in calce ma senza importo. Le parole più emblematiche sono quelle formule cautelative che Conte ripete ossessivamente: «allo stato attuale», «al momento», «non possiamo garantire lo stesso formato ovunque». Una postura politica che si avvicina più all’ambiguità strategica che al realismo. E che, di fatto, condanna l’opposizione a un perenne stato di incertezza. Non è un caso che le dichiarazioni di Elly Schlein — «ora andiamo a vincere» — suonino ormai più come speranze individuali che come sintesi collettiva.

La desta può continuare a governare indisturbata

Perché Conte, nel frattempo, ha imposto il suo diktat: il Movimento 5 Stelle non sarà mai subordinato al Pd. E se il Pd non si adegua, si arrangi. E intanto Conte, da Milano alla Toscana, finisce per sovrapporsi ai toni e alle posizioni della Lega di Matteo Salvini. Anche la Lega ha chiesto le dimissioni di Sala. Anche la Lega è in rotta di collisione con Giani. Ma mentre Salvini lo fa da avversario, Conte lo fa da (finto) alleato. A questo punto, più che campo largo, sembra un campo minato. Finché Giuseppe Conte terrà in pugno le sorti del fronte progressista, Giorgia Meloni non avrà nulla da temere. La destra può continuare a governare indisturbata. Perché l’unico vero ostacolo al centrosinistra non viene da Palazzo Chigi, ma da Via di Campo Marzio. Dove Conte ha messo in piedi un Movimento che dice no a tutto — tranne alla propria autosufficienza. E a forza di dire no, rischia di dire addio a ogni chance di governo.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.