Nella preistoria spaziale gli attori erano pubblici: in piena guerra fredda i protagonisti erano la Nasa e Roscomos, in gara per la conquista della Luna. Oggi, ai tempi dell’esplorazione di Marte, la space economy è un mercato maturo e molto appetibile per le imprese. Le big del settore sono 14, di cui 9 made in USA.

La più nota è SpaceX Launch Facility di Elon Musk, affiancata dalle americane Blue Origin (Jeff Bezos), Virgin Galactic (Richard Branson), Boeing, Northrop-Grumman, Relativity Space, Firefly Aerospace, Sierra Space e Axiom Space. In Europa ci sono TEC (The Exploration Company) e Arianegroup, in Asia l’indiana Skyroot Aerospace e la cinese Cas-Space, in Oceania la neozelandese Rocket Lab. L’ingresso nel settore del mondo privato ha innescato un’accelerazione clamorosa nell’innovazione tecnologica e l’intero sistema si è rovesciato: da un modello up-bottom al più profittevole e veloce bottom-up.

L’anno del boom spaziale privato è stato il 2021, coda lunga della pandemia da Covid-19. Quasi uno scatto di reni rispetto ai lockdown: investimenti per 47 miliardi di $. Dopo un raffreddamento significativo del mercato, lo scorso anno il settore space tech ha visto quasi 600 operazioni di finanziamento per 8,9 miliardi di dollari (+25% rispetto al 2023). Nel frattempo il film della corsa pubblica e geopolitica allo spazio ha allargato cast e protagonisti. Questi ultimi, in termini di budget dedicati, sono tre: USA (circa 30 miliardi di dollari) Cina (circa 20) ed Europa (circa 10). Il cast vede presenti a grande distanza: Giappone (2,5 miliardi), Russia (2 miliardi), India (2 miliardi) e Corea del Sud (un miliardo).

La missione delle imprese è chiara. Basta scorrere gli slogan che caratterizzano le grandi: «Making humanity multiplanetary» quella di SpaceX, «We’re building a road to space for the benefit of the Earth» quella di Blue Origin. L’azienda texana di Elon Musk è stata la prima nel 2008 a lanciare e poi recuperare Falcon 1, il primo vettore privato ad orbitare attorno alla Terra. È leader mondiale proprio per le operazioni di lancio e recupero di razzi riutilizzabili per diversi scopi. Ha in progetto di realizzare la più grande costellazione di satelliti per le telecomunicazioni civili e militari attraverso la sussidiaria Starlink. Grazie all’appalto NASA invia e fa rientrare gli astronauti della ISS (stazione spaziale internazionale), così come rifornisce di viveri e apparecchiature tecnologiche la stazione. Obiettivo di medio periodo resta Marte, naturalmente. Turismo spaziale e ricerca medico-scientifica due degli ambiti di sviluppo.

Blue Origin, a guida Bezos, punta sul turismo spaziale, e offre a milionari grazie al programma New Shepard esperienze da 11 minuti tra decollo, permanenza e atterraggio. Col progetto New Glenn conta di fare concorrenza a Starlink grazie a un razzo di nuova generazione riutilizzabile per almeno 25 viaggi. Ma lo svantaggio competitivo è ancora evidente. Intanto conta di realizzare Orbital Reef: una nuova stazione in orbita terrestre bassa. Lo stesso obiettivo di Axiom Space, fondata da Michael Suffredini, ex program manager della ISS per la NASA e Kam Ghaffarian, imprenditore nel settore aerospaziale. La Axiom Station ambisce ad essere la prima stazione spaziale commerciale privata in orbita terrestre.

L’Europa schiera due big player del settore: la prima è TEC (in questo numero de L’Economista c’è l’intervista a Franco Fossati, ndr) che punta al lancio di razzi riutilizzabili. La seconda è Ariane Group, giunta alla versione 6 del suo razzo. Il Vecchio Continente è da considerarsi in termini di sviluppo e innovazione tecnologica la realtà più in scia alle big USA. E la Cina? CAS-Space è uno spin off del programma spaziale pubblico cinese. Lato turismo sta sviluppando una capsula per space tourism suborbitale operativa dal 2028 che ospiterà 7 passeggeri (costo del biglietto oltre 400mila dollari) con partenze ogni 100 ore da un parco a tema spaziale in costruzione.

Paolo Bozzacchi

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