Una tendenza che sta accadendo, che è già qui
Da Salgari a MyFlix, la piattaforma streaming che realizza film e serie dei tuoi sogni: il regista è l’IA (allarme Spoiler)
La capacità del cinema di farci sognare potrà mai essere sostituita?
Alle 9 di sabato mattina mi squilla il telefono. È il Direttore, Claudio Velardi: “Andrew,” lui mi chiama così, “ti devo chiedere una cosa al volo”, esordisce veloce come sempre. Mi spiega che il nostro giornale è tra i pochissimi selezionati per testare in anteprima MyFlix: un’applicazione cinese rivoluzionaria che promette di generare film e serie TV personalizzate. Su misura. Come un abito sartoriale. Dice: “Io non ho tempo. Provala tu, che sei uno smanettone. E se ti convince scrivici un pezzo per la prossima settimana”. Mentre gli rispondo di sì e che sono contento che ha scelto me, mi accorgo che ha già attaccato.
Dopo pochi secondi, mi arriva una email del Direttore con il link da cliccare per registrarmi su MyFlix. L’interfaccia di MyFlix è minimalista. Mi registro con un nickname che è un programma: Emilio_Salgari. Chi meglio del maestro che seppe raccontare la Malesia senza mai lasciare Torino per testare una piattaforma che promette viaggi immaginari su misura? L’algoritmo non perde tempo: inizia a bombardarmi di domande sotto forma di scelte binarie. “Preferisci The Walking Dead o Breaking Bad?” “House of Cards o The Crown?” “Jurassic World o Avatar?” Seleziono con decisione, seguendo il mio istinto: The Walking Dead, House of Cards, Jurassic World. Quando mi chiede altre serie apprezzate, indico “Il Miracolo”, “Il Signore dell’Alto Castello”, “The Handmaid’s Tale”. Il mio pattern è evidente anche a un osservatore distratto: catastrofi, politica, distopie.
MyFlix, la prima puntata pronta in 2 ore
MyFlix mi sta mappando con precisione chirurgica, costruendo non solo un profilo di preferenze ma una vera e propria impronta digitale narrativa. “Durata preferita?” “Colpi di scena o linearità?” “Finali aperti o risolutivi?” Rispondo meccanicamente, mentre realizzo che ogni clic è un tassello del mio futuro entertainment. Infine, MyFlix mi offre tre strade: suggerire io stesso una storia, indicare un libro da adattare, o lasciarmi guidare dall’algoritmo. Opto per la terza opzione, curioso di vedere se MyFlix ha davvero capito cosa mi piace. Appare un messaggio: “La prima puntata della tua serie personalizzata sarà pronta tra 2 ore”. Due ore sono tante. Questa è già una pecca seria.
Per ingannare l’attesa, esploro lo store di MyFlix. Scopro con sorpresa che ogni contenuto generato diventa pubblico, creando un bizzarro archivio di desideri narrativi collettivi. Scorro titoli, locandine, trame. Alcune produzioni sono dilettantesche, altre sorprendentemente sofisticate. Mi imbatto in un titolo che cattura immediatamente la mia attenzione: “Il Mercante di Seta”. Incuriosito, leggo la sinossi. Un viaggiatore, un commercio esotico, un amore impossibile in Oriente. Non ci vuole molto per riconoscere, sotto il camuffamento algoritmico, l’ossatura narrativa di “Seta” di Alessandro Baricco. L’intelligenza artificiale ha riscritto il capolavoro, cambiando nomi e dettagli per evitare problemi di copyright, mantenendo però intatta l’essenza poetica dell’originale. È uno dei titoli più visti e gettonati con 4.3 di valutazione media.
MyFlix, la serie su misura è cocktail perfettamente calibrato
Finalmente il countdown termina. Premo play con un misto di scetticismo e aspettativa. I primi secondi bastano a lasciarmi senza fiato. La qualità visiva è straordinaria. Gli attori, pur non essendo esattamente le celebrità che preferisco, presentano somiglianze inquietanti – un escamotage, immagino, per evitare questioni legali di diritti d’immagine. La serie che MyFlix ha creato per me è un cocktail perfettamente calibrato: un thriller politico ambientato in un presente distopico. La narrazione è densa di tensione, temi di geopolitica, dilemmi morali e riferimenti a tematiche attuali. Mi piace. Lo ammetto. Forse piacerà solo a me, ma cosa mi importa? La generazione di contenuti video attraverso l’intelligenza artificiale sta avanzando a ritmi vertiginosi. OpenAI ha presentato Sora, in grado di generare video realistici da semplici prompt testuali. Google sviluppa Lumiere, Meta ha Make-A-Video.
L’IA e il livello avanzato di MyFlix
La qualità migliora esponenzialmente ogni semestre, ma non mi aspettavo che fossimo già a questi livelli con MyFlix. Non mancano imperfezioni tecniche. In una scena, il protagonista indossa una giacca blu scuro che nell’inquadratura successiva, inspiegabilmente, diventa marrone – un glitch nella matrice algoritmica. Sorrido, ricordando l’errore in “Pretty Woman”, dove Julia Roberts addenta un croissant che magicamente si trasforma in un pancake nella scena successiva. Capita anche ai migliori, “naturali” o “artificiali” che siano. I 40 minuti volano. L’episodio si chiude con un cliffhanger studiato per tenermi agganciato. Il sistema mi avvisa: “Il secondo episodio sarà disponibile tra un’ora”. Per passare l’ora decido di provare a scrivere il pezzo per il Direttore. Lo spettacolo cinematografico e televisivo, nato come esperienza collettiva, ha già subito una prima frammentazione con l’avvento dello streaming. Con la personalizzazione algoritmica spinta all’estremo, si profila come un’ulteriore atomizzazione dell’esperienza culturale.
La serie unica, pro e contro
Il film, da evento sociale condiviso, diventa un’esperienza individuale e isolata. I “water cooler moments” – quelle conversazioni in cui si discute dell’ultimo episodio visto – scompariranno dal tessuto sociale. Michael Wesch, antropologo digitale, ha evidenziato come le comunità si formino attorno a esperienze condivise. Cosa accadrà in un mondo dove ciascuno consuma storie uniche, generate esclusivamente per sé? È vero, anche io ho cercato nello store i film generati da altri utenti, ma poi sono rimasto rapito solo da quello generato per me su misura.
Sul piano psicologico, la personalizzazione estrema potrebbe amplificare il fenomeno della “filter bubble”. Gli algoritmi ci restituiscono ciò che già ci piace, rafforzando preferenze esistenti e riducendo l’esposizione a prospettive diverse. La psicologa Sherry Turkle ha studiato come questa limitazione dell’orizzonte informativo e narrativo possa impoverire la nostra capacità empatica. L’arte, nella sua forma più elevata, dovrebbe anche sfidarci, presentarci prospettive inattese, farci sentire a disagio. Già, il disagio! Qui l’unico disagio è il tempo di attesa per avere il proprio episodio.
Da blockbuster a contenuti per micro-nicchie
Si profila poi il rischio di dipendenza. I contenuti perfettamente calibrati sui nostri gusti stimolano circuiti dopaminergici con una precisione estrema, creando un loop di gratificazione immediata difficile da spezzare. MyFlix rappresenta l’apoteosi del paradigma della “long tail” teorizzato da Chris Anderson. L’industria dell’intrattenimento passerebbe da un modello basato su blockbuster per le masse a contenuti ultra-personalizzati per micro-nicchie. Tecnicamente, questo si concretizza attraverso sistemi di hyper-personalization che utilizzano algoritmi di deep learning per elaborare enormi dataset comportamentali. Le architetture neurali convoluzionali (CNN) analizzano contenuti visivi, mentre i modelli transformer elaborano sequenze narrative per predire preferenze future.
Il business model si sposta dall’economia di scala all’economia di scopo: non più contenuti standardizzati per un pubblico vasto, ma esperienze personalizzate per audience frammentate. Il valore risiede non nella distribuzione di massa, ma nella precisione predittiva e nella capacità generativa. Un elemento centrale è la trasformazione dell’utente da consumatore passivo a “prosumer” – un ibrido tra produttore e consumatore. Questo termine, teorizzato da Alvin Toffler negli anni ’80, descrive un consumatore che non è più passivo, ma parte attiva nel processo creativo e produttivo.
Spoiler: MyFlix non esiste
Un esempio concreto di preference mining avanzato, dove l’algoritmo non si limita a classificare preferenze esistenti ma le utilizzerebbe per sintetizzare contenuti ex-novo attraverso processi di computational creativity. Ma per chi è arrivato fino a qui a leggere, resistendo alla tentazione di compulsare “MyFlix”, su Perplexity o Google, per sopravvivere alla noia della mia analisi psico-socio-economica di MyFlix, devo premiarlo con una confessione: MyFlix non esiste. L’ho inventato, proprio come Salgari creava mondi esotici senza mai lasciare l’Italia. L’ho fatto per raccontare una tendenza che sta accadendo, che è già qui.
Tra 2-3 anni però…
La capacità di generare film o serie personalizzate non è fantascienza: è una proiezione realistica di tecnologie già in fase avanzata di sviluppo. Nel giro di 2 o 3 anni potremmo assistere alle prime applicazioni commerciali di questa natura. Ci troviamo a un crocevia evolutivo nel consumo mediale. Da un lato, la promessa di un intrattenimento perfettamente allineato ai nostri gusti. Dall’altro, il rischio di perdere quella dimensione collettiva e sfidante che ha caratterizzato l’arte cinematografica per oltre un secolo. Chi vincerà? Lo deciderà l’economia dei consumi.
La sfida sarà trovare un equilibrio tra personalizzazione e condivisione, tra comfort e sfida intellettuale. Forse il futuro non sarà MyFlix nella sua forma pura, ma una versione più sofisticata e consapevole di questa tecnologia, capace di personalizzare l’esperienza mantenendo spazi di condivisione culturale. Come per ogni rivoluzione tecnologica, non sarà la tecnologia in sé a determinarne l’impatto, ma l’uso che ne faremo come società e come individui. Nel frattempo, mentre aspetto il secondo episodio di una serie che non esiste, su una AI che non esiste (ancora) mi concedo di pensare alla noia alla quale sono scampati i miei contatti (social e reali) all’idea di doversi sorbire una serie che sarebbe probabilmente piaciuta solo a me.
E forse è proprio questa la magia più grande del cinema: la capacità di creare mondi condivisi nelle nostre menti, di farci sognare collettivamente – una capacità che nessun algoritmo, per quanto sofisticato, potrà mai sostituire completamente. O forse no?
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