Letture
De Gasperi, la fiducia di un uomo in carcere: la ristampa di “Lettere dalla prigione”
«Mia cara Francesca, oggi 15 maggio è una giornata bigia più delle solite, come ha da essere di tutte le nostre feste commemorative. Sia la pressione atmosferica, sia la reazione dei nervi, perché in questi passati giorni, per l’ansia di non finire, m’occupai forse troppo intensamente del mio lavoro, la testa stamane non regge alla fatica di pensare».
15 maggio 1928, dalla clinica romana dove è ricoverato, e sorvegliato dalla polizia, Alcide De Gasperi manda un’ennesima lettera alla sua adorata consorte, Francesca, come sempre attraversata da una certa dolcezza poetica (come avviene, nello stesso periodo, ad Antonio Gramsci). De Gasperi era stato improvvisamente arrestato dalla polizia fascista nel novembre del ‘27 e subito condannato a quattro anni, il regime aveva ben colto in quella figura dura, energica, già in qualche modo carismatica, un pericolo: ed aveva agito alla sua maniera, togliendo la libertà. Ora vengono ristampate le “Lettere dalla prigione (1927-1928)” (Marietti1820, introduzione di Angelino Alfano) che illuminano la figura coraggiosa e diremmo soprattutto fiduciosa, malgrado le circostanze, del futuro statista, a lungo presidente del Consiglio dell’Italia repubblicana. Fu, De Gasperi, un vero antifascista: la sua convinzione era animata da un fervido spirito religioso che non lo abbandonerà mai.
Ma, si diceva, in queste lettere commuove il tono alto della sua comunicazione in contrasto con la cattività in cui è costretto: «La tua pazienza è per me come un mantello caldo in questa cella fredda. Ogni tuo pensiero mi arriva come una carezza», scrive a Francesca – talvolta chiamata “Franceschina”. L’uomo che già aveva alle spalle un importante trascorso politico, deputato a Vienna, non pensa al proprio futuro politico – figurarsi – ma al riscatto del suo Paese. Lo sorregge la religione, certo, ma anche un qualche barlume di fiducia. Soprattutto, De Gasperi è fermamente convinto che egli non cederà mai: «Le mie mani sono legate ma il mio spirito resta libero». La storia gli diede ragione e lo ricompensò di quelle sofferenze. E per l’Italia fu una fortuna.
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