Draghi firma il dpcm ma dimentica le carceri…

L’infausto Dpcm con cui Mario Draghi continua la tradizione arbitraria del predecessore dedica sette righe alla situazione delle carceri: una noterella, affogata nel solito mare di comminazioni, che risolve il problema mediante “adeguati presidi” per i nuovi ingressi nelle galere e disponendo che i “casi sintomatici” siano posti in isolamento. In pratica: gli danno la mascherina e con trentasette di febbre li mettono al 41 bis.

L’idea che si tratterebbe semmai di svuotare le carceri anziché di riempirle ancora (cosa possibilissima liberando i soggetti non pericolosi e smettendola di imprigionarne altri), evidentemente costituisce una bestemmia: persino se in gioco c’è la necessità di apprestare cautele per una malattia di cui ogni giorno si fa terroristica rappresentazione.
Non c’è una misura di contenimento, non una, tra quelle elencate in questo ennesimo decreto, che abbia anche la più vaga possibilità di essere rispettata nel chiuso insalubre e sovraffollato di un carcere italiano.

Eppure tutto quel che riusciamo a dar fuori è un simulacro di norma che conferisce al concerto dei ministri competenti il compito di assicurare che il modello italiano – quello dell’abolizione dello Stato di diritto con centomila morti – non manchi di applicarsi anche nelle galere. L’assembramento, vietato e deplorato tra i liberi, diventa coatto e ammissibile nella pena doppia del carcere che toglie libertà ed espone al contagio: e l’occhio Stato, inquirente sul metro di distanza davanti ai supermercati, si chiude davanti al carnaio delle galere pur sapendo anche i sassi che i detenuti nemmeno se volessero potrebbero proteggersi osservando quelle cautele. In questa situazione, anche solo sentir parlare di “nuovi ingressi” in carcere (e negli “istituti penali per i minorenni”, aggiunge il Dpcm) è semplicemente osceno. Magari il cambio di passo ci sarà: lì non c’è, e purtroppo conta quello.