Nessun dubbio sulla circostanza che il Governo Draghi rappresenti la migliore opzione possibile, in questo momento, per l’Italia: esso dà la quasi certezza che le risorse del New Generation Eu non saranno sprecate. E non è poco. Questa circostanza, tuttavia, non esime dal dovere di rilevare le insufficienze che il Governo manifesta in altri ambiti. Tra questi, quello della giustizia. Ad esso il Presidente del Consiglio ha dedicato poche righe nella parte del suo intervento al Senato, ove sono illustrati i progetti di riforma.
Nella replica svolta alla Camera, poi, ha richiamato la necessità di un processo giusto e di durata ragionevole ed ha accennato al tema delle carceri. Sulla circostanza che, per la prima volta, nella presentazione del Governo alle Camere, il Presidente del Consiglio abbia menzionato la questione delle carceri si è espressa, positivamente, Rita Bernardini. Non occorre, perciò, aggiungere altro. L’affermazione della necessità di un processo giusto e di durata ragionevole è di tale genericità da non avere alcun significato specifico: avrebbe potuto essere pronunciata anche da Bonafede. Indicazioni più puntuali si possono trarre dal testo dell’intervento svolto al Senato. E non sono particolarmente promettenti. L’obiettivo indicato è quello di aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile.
Il primo degli strumenti per raggiungerlo è individuato nella applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza. Si tratta del nuovo regime, contenuto nel codice della crisi di impresa, che delinea un meccanismo efficiente di espulsione delle imprese non più in grado di stare sul mercato. Attraverso lo strumento dei segnali di allarme, appena si manifestano i primi segni di difficoltà l’impresa è assoggettata ad una procedura volta a determinare tempestivamente la capacità o no di restare sul mercato. Si tratta, perciò, di un sistema che presuppone l’esistenza di un mercato in buona salute, nel quale si verifica quel fenomeno di distruzione creatrice di nuova ricchezza, teorizzato da Schumpeter. Ma non è questa la situazione di un mercato, quale quello italiano, debole da molti anni e segnato profondamente dalla pandemia.
Difatti, l’entrata in vigore del codice della crisi di impresa è stata differita a settembre 2021 e tutti i tecnici sono concordi che dovrà essere ancora, ed a lungo, rinviata. Almeno sino a che non saranno stati riassorbiti gli effetti della pandemia. Del resto, i vari decreti varati per affrontare l’emergenza economica hanno sospeso l’applicazione di tutte quelle norme che, nella gestione delle società, danno rilievo alla perdita del capitale sociale. A questa prima notazione se ne deve aggiungere un’altra non meno rilevante. Il maggior fruitore di beni e servizi sul mercato italiano, e cioè l’amministrazione pubblica, ha un cronico ritardo nell’eseguire i pagamenti.
L’inevitabile conseguenza è una permanente difficoltà finanziaria di tutti i soggetti che con essa hanno rapporti e rende inapplicabile a larga parte del mercato una disciplina, quale quella contenuta nel nuovo codice, che ha come presupposto un mercato efficiente, in cui i pagamenti sono puntuali e le difficoltà finanziarie non sono, di regola, dovute a cause esogene. Queste considerazioni inducono, allora, a ritenere che la manifestazione della intenzione di una immediata applicazione della nuova disciplina sia stata una affermazione non meditata. Più che altro una clausola di stile di formale ossequio alle indicazioni dell’Europa. Ma non è la sola clausola di stile, priva di reale significato, contenuta nelle poche righe dedicate alla giustizia.
Tale appare essere anche un’altra affermazione. Nell’intervento al Senato il Presidente del Consiglio ha anche affermato che lo scopo dell’aumento dell’efficienza della giustizia civile dovrà essere perseguito anche «favorendo la repressione della corruzione». Ebbene, è del tutto pacifico, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche nel mondo politico, che il tema della corruzione non ha nulla a che vedere con la giustizia civile. Tutto si potrà dire della magistratura civile italiana, ma certo non che sia formata da corrotti. Ed allora la frase appare come l’espressione del desiderio di assecondare le pulsioni presenti in alcune forze di Governo, anche a costo di introdurre un argomento che nulla ha a che vedere con il tema cui è connesso.
Anche questa, perciò, appare una clausola di stile, inserita nell’intervento senza la necessaria meditazione. Se le cose stanno così, diventa difficile attendersi soluzione a quell’inestricabile groviglio di storture che è diventato ormai il mondo della giustizia. Sorge anche il dubbio che si tratti di una scelta consapevole, se è vero ciò che Paolo Mieli intervenendo a Radio 24 ha, come riporta Dagospia, dichiarato: «… Negli ultimi trent’anni non c’è stato governo, soprattutto se aveva una immagine forte, che non abbia avuto problemi con il sistema della giustizia… Di sicuro, dalle parti della magistratura militante sta ribollendo qualcosa». Così potrebbe spiegarsi, allora, la circostanza che il primo atto della nuova ministra della Giustizia, Cartabia, sia stato quello di chiedere una moratoria sulla questione incandescente della prescrizione. Il Governo Draghi salverà il paese dalla bancarotta. E sarà un merito immenso. Per tutto il resto occorrerà attendere.
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