Mario Draghi ha annunciato nelle dichiarazioni alle Camere di voler mettere mano alla giustizia. Se tirerà dritto, troverà sulla sua strada i cani di Pavlov, pronti al riflesso condizionato cui sono abituati da sempre. Gli fai vedere la carne, anzi fai solo presagire la comparsa della pappa, e quelli sbavano. Paolo Mieli, con l’onestà intellettuale dello storico con qualche anno di esperienza, l’ha messa giù in italiano: «Se Draghi sulla giustizia fa sul serio, gli arriverà un avviso di garanzia. Non ho notizie inedite da svelare, è un automatismo: prima il potere giudiziario risponde in modo risentito attraverso i suoi organi ufficiali. Poi qualche Pm, da qualche parte d’Italia, partirà con un’inchiesta. Non c’è un organizzazione, non ci sono ordini dall’alto, ci sono però degli automatismi. Quel Pm parte perché sa di trovare intorno a sé il consenso della categoria. Come poi vada a finire l’inchiesta, magari 10 anni dopo, è del tutto irrilevante».
L’intervista a Radio24 ha prodotto da subito, come nelle verifiche degli esperimenti in laboratorio, il primo dei riflessi condizionati: la replica del difensore d’ufficio della magistratura. Ed ecco Travaglio, piccato, esercitarsi nel solito giochino dei cognomi storpiati (“Luna di Mieli”) non per scongiurare che accada quanto profetizza Mieli, ma per anticiparlo: questo è un governo-ammucchiata che vede partecipe «il partito del pregiudicato-prescritto-imputato finanziatore della mafia». Quindi certo che certi magistrati potranno, dovranno intervenire. Travaglio lo scrive nero su bianco, se qualcuna delle toghe interessabili non fosse stata in attento ascolto: «Mieli teme che sia indagato qualche ministro di Draghi, cosa assai possibile visto il ritorno in maggioranza di tutto il vecchio magnamagna». Il riflesso condizionato.
Ne è convinto anche Claudio Martelli, che da ex ministro della giustizia qualcosa ne sa. Sulla sua pelle. «L’esperienza dice che chi tocca i fili non della giustizia ma della magistocrazia finisce nel tritacarne. Avevo introdotto la procura nazionale antimafia e pensavo che spettasse a Giovanni Falcone di dirigerla. L’Anm proclamò lo sciopero generale, il Csm a ruota denigrò Falcone e gli preferì un altro e io divenni un bersaglio». Sappiamo come è andata a finire. «A me ha colpito quando con Più Europa ci ha ricevuti per le consultazioni: Draghi appena seduto ha iniziato a parlare della necessità di riformare il processo civile», ripercorre Emma Bonino. «Allora io gli ho detto: e quello penale che sta messo anche peggio. E le carceri. Lui ha annuito e preso nota di tutto. E alla Camera ha tirato fuori quegli appunti, di cui sembra volersi fare carico anche la ministra Cartabia. Se poi si teme che chi si muove bene sulla giustizia venga impallinato, la conseguenza logica è che nessuno si muoverà mai. Se attribuiamo alla magistratura, come in effetti è stato, tutto questo potere, registriamo che il sistema non funziona. E questo è il momento del coraggio, per cambiare le cose», riassume Bonino.
Marco Bentivogli, leader di Base, guarda al dunque e sprona Draghi al coraggio. «La “sindrome della firma” come l’ha definita Il presidente del Consiglio Draghi nella relazione alla Corte dei Conti, è solo una delle fattispecie per cui qualsiasi assunzione di responsabilità incappa troppo facilmente nella trappola del combinato disposto tra requisiti assurdi previsti dalla burocrazia per autoalimentarsi e un’ipersensibilità delle Procure su questi comportamenti».
Le procure ipersensibili sono quelle di cui parlava Paolo Mieli, e sollecita Travaglio. «Siamo nella situazione in cui chi le cose le lascia deperire non rischia nulla e semmai una promozione e chi si assume qualche responsabilità, anche semplicemente per mandare avanti la macchina, deve rischiare lo slalom tra “danno erariale” e “abuso di ufficio”. E’ una situazione insostenibile che va risolta al più presto altrimenti il paese resterà paralizzato e si troverà nei ruoli apicali dirigenti premiati per non aver combinato nulla di buono e neanche fatto il proprio dovere, senza aver violato alcuna norma».
Bene dunque Draghi, avanti senza paura. Ex magistrata ed ex ministra, Anna Finocchiaro oggi guida il think tank Italia Decide. Sa che Draghi fa sul serio e lo segue anche lei con l’ottimismo della volontà. «Speriamo che Mieli abbia torto. Che non arrivino avvisi di garanzia per fermare un governo che fa riforme. Anche se non ho la palla di vetro». Roberto Giachetti, di Italia Viva, prova a fare gli scongiuri: «Io cerco di toccare la giustizia da vent’anni e non mi è capitato nulla, per fortuna. La giustizia è un tema centrale. Adesso aspettiamo le declinazioni concrete dei cenni che ha fatto in aula, speriamo vada avanti con coraggio».
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