Alle urne
Elezioni in Russia tra “prove di lealtà” e attacchi ai seggi. E Putin riflette sulla Transnistria
Per Vladimir Putin, queste elezioni devono essere un plebiscito. E per ottenere questo risultato, il presidente russo non ha solo chiamato al voto i cittadini della Federazione parlando loro di una scelta “patriottica”, ma ha anche deciso di aprire i seggi elettorali nelle regioni che in questi due anni sono state occupate dalle truppe di Mosca. Per Putin è essenziale mandare un doppio messaggio. Il primo è quello della normalità. E cioè che adesso, anche con la guerra in corso, quei territori sono parte della Russia. E come tali devono dare l’idea di condurre una vita identica a quella del territorio nazionale.
Gli attacchi ai seggi
Tutto deve dunque apparire normale: come è apparsa normale la vita della Crimea dopo l’annessione. E tutto questo nonostante gli osservatori concordino che di normale, in queste elezioni nelle regioni occupate, vi è poco. Non lo è in Russia, dove 13 persone sono state arrestate per danni e attacchi contro i seggi elettorali, e con la presidente della Commissione elettorale Ella Pamfilova che ha accusato la regia di “bastardi venuti dall’estero”. E dove a San Pietroburgo un seggio è stato attaccato con una bottiglia incendiaria. E non è normale a maggior ragione nei territori invasi, dove la guerra continua a mietere vittime. Ieri, le autorità di Mosca hanno accusato le forze ucraine di avere bombardato un seggio elettorale nella zona di Kherson proprio mentre si svolgevano le elezioni presidenziali.
Una “prova di lealtà”
Mentre a Odessa, sotto il controllo del governo ucraino, un raid russo ha provocato 20 morti. I territori invasi, che formalmente nessuno riconosce come parte della Federazione russa, sono terre in cui non vige l’ordinamento russo vero e proprio, ma un sistema in cui regna un ordine deciso da autorità locali e militari. Il numero degli elettori non è inoltre verificabile, così come i documenti che permettono di partecipare al voto. I seggi vengono controllati dalle forze armate e dalle autorità del posto. E in alcune aree, come affermato il mese scorso dagli stessi funzionari di Mosca, il voto è addirittura avvenuto casa per casa. Per il Moscow Times, quello che sta avvenendo nei territori del Donbass e nelle altre regioni ritenute ora parte della Russia è una “prova di lealtà”, in cui l’obiettivo è dimostrare la volontà della popolazione di essere coinvolta nel destino russo, e di farlo – in estrema sintesi – votando per Putin. E in questa scelta, rientra l’altro messaggio che ha voluto inviare il Cremlino aprendo i seggi in questi nuovi oblast del Paese: e cioè che lo “spazio russo”, il cosiddetto Russkiy Mir, è ormai parte integrante del sistema politico.
I seggi in Transnistria
Non si può dunque più parlare di semplice Federazione Russa, ma Putin, e con esso il suo sistema di potere, si rivolge ormai definitivamente a un mondo di “compatrioti” che vive uno spazio differente da quello dei confini ereditati dal presidente dopo la caduta dell’Unione Sovietica. E questo mondo è ormai la prospettiva in cui si concentra la politica interna ed estera di Mosca. Lo confermano non solo le procedure di voto nelle regioni occupate, ma anche un’altra scelta fatta dal Cremlino: quella di aprire i seggi in Transnistria. I media della regione filorussa della Moldova avevano annunciato l’apertura di sei seggi, di cui tre a Tiraspol e altri tre nel resto dell’autoproclamata repubblica separatista. La Moldavia ha da tempo avvertito Mosca di evitare questa mossa, lasciando che il voto dei cittadini russi nel Paese possa essere effettuato solo nell’ambasciata russa di Chisinau. Ma il Cremlino sembra volere andare dritto per la propria strada, con un voto che dovrebbe avvenire solo nella giornata di domenica. A differenza dei territori occupati dell’Ucraina orientale, che compongono la Nuova Russia immaginata da Putin, la Transnistria non è stata invasa né si considera già parte della Federazione russa. Ma per molti osservatori, quello che sta cercando di fare Putin è soprattutto sfruttare questa tornata elettorale nella regione moldava come un’arma particolarmente efficace della sua “guerra ibrida” verso la Moldavia ma anche verso l’Occidente.
Le mosse di Putin
A fine febbraio, il governo separatista ha convocato il settimo Congresso dei deputati della Transnistria con il quale ha chiesto a Mosca anche la “protezione” dei suoi cittadini contro quelle che considera le “crescenti pressioni” da parte dell’esecutivo moldavo. La richiesta dei deputati filorussi ha rappresentato più di un campanello d’allarme per il Paese, soprattutto perché non è un mistero che la retorica della difesa dei “compatrioti” russi all’estero ha rappresentato spesso un volano non solo della narrativa del Cremlino, ma anche delle stesse azioni militari intraprese dalla Russia. Una su tutte la guerra in Ucraina, ritenuta non a caso annunciata come una “operazione militare speciale” sorta anche per tutelare le popolazioni russofone del Donbass. Per molti analisti, Putin non avrebbe in questo momento alcuna intenzione di intraprendere mosse di tipo bellico nei riguardi della Transnistria, e quindi contro la Moldavia. Ma per Chisinau, il piano di destabilizzazione è già evidente.
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