Ergastolo ostativo, tutti i condannati hanno diritto alla speranza

Ho partecipato con curiosità all’Agorà del Partito democratico organizzata da Pietro Grasso sul nodo indifferibile della proclamata incostituzionalità dell’ergastolo ostativo. Da troppo tempo prevale una tendenza a sfuggire dai temi interessanti, qualificandoli come divisivi. In questo caso la Corte costituzionale ha posto al Parlamento un aut aut, dando un anno di tempo per approvare una legge. Il termine scade il 10 maggio ed è un segno di cattiva retorica imputare alla Consulta di cassare le norme costruite in nome della lotta alla mafia, proprio in contemporanea con l’anniversario della strage di Capaci. Per questi spacciatori di propaganda, la Corte avrebbe dovuto avere la furbizia da concedere alle Camere undici o tredici mesi?

In realtà molti interventi, a cominciare dal Presidente emerito De Siervo, hanno messo in luce la difficoltà di sciogliere i nodi dovuti a una stratificazione di norme causata da un eccesso di panpenalismo che ha condizionato la politica criminale per decenni e che ora dovrebbe essere smontata con assoluta celerità. Tutti hanno dovuto riconoscere che avere utilizzato a dismisura l’art. 4bis dell’Ordinamento penitenziario inserendo reati diversissimi da quelli legati alle organizzazioni criminali e alle mafie è stato un errore che ha indebolito anche la scelta di quella sorta di doppio binario, discutibile forse, ma con ragioni comprensibili nell’emergenza. Posto che, però, le norme emergenziali dovrebbero avere sempre durata limitata.

Ho iniziato il mio intervento ricordando la coincidenza della data scelta per l’Agorà, quella del 30 novembre, con il giorno del 1786 in cui il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo decise l’abolizione della pena di morte e della tortura. L’illuminismo deve tornare ad essere il riferimento per la giustizia e lo stato di diritto. Quando una leader di partito assai vezzeggiata, di fronte a una dichiarazione solenne della Corte di incostituzionalità di una norma, reagisce proponendo di cambiare la Costituzione e in particolare l’art. 27 che rappresenta un pilastro della costruzione civile, si dovrebbe insorgere per denunciare una tendenza all’eversione contro la democrazia. Devo dire che ho colto nelle persone presenti una sentita condivisione per una denuncia che deve costituire un discrimine. La discussione è stata condizionata dalla preoccupazione di non indebolire la lotta contro la mafia, come ha fatto Rosy Bindi addirittura criticando la Cedu per l’incomprensione di un fenomeno criminale che merita leggi speciali. Altri interventi come quelli della prof.ssa Stefania Carnevale e di Mauro Palma hanno messo in luce la forza del diritto per affermare la differenza con i criminali. Si è fatta strada anche la convinzione che la pretesa della collaborazione per accedere a eventuali benefici non può essere una condizione aprioristica.

Quello che va abbattuto è il muro dell’automatismo. Occorre trovare una modalità che dia responsabilità al magistrato e speranza al condannato. Guai se la riforma fosse aggredita con la menzogna – peraltro ricorrente – di una uscita immediata dal carcere dei capi di Cosa Nostra. Se più di dieci anni fa potevamo pubblicare un volume intitolato Contro l’ergastolo, ora abbiamo dovuto intitolare un nuovo libro Contro gli ergastoli, come risposta a un pasticcio intollerabile. Ho voluto ricordare che il confronto deve anche affrontare il tema dell’ergastolo tout court.

Nel 1998 il Senato approvò con una netta maggioranza l’abolizione del fine pena mai. Nel volume che ho curato con Stefano Anastasia e Andrea Pugiotto, abbiamo dedicato una sezione alle parole al riguardo di Aldo Moro, Salvatore Senese, Papa Francesco e Aldo Masullo per una riflessione umana e civile che deve impegnare intelligenze e coscienze. D’altronde, occorre fare i conti con un paradosso incomprensibile: in Italia continuano a diminuire gli omicidi, 315 nel 2019, 271 nel 2020 e contestualmente si manifesta una bulimia di condanne all’ergastolo.

Oggi alla Camera dei deputati discuteremo con il prof. Valerio Onida, autore della prefazione al libro edito da Futura editrice, l’avv. Emilia Rossi, garante dei diritti delle persone private della libertà personale, i deputati Enza Bruno Bossio e Riccardo Magi del testo base che inizia l’esame in Commissione Giustizia. Alle 18 presso la Libreria Il Libraccio presenteremo il libro con Luigi Ferrajoli, Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione Camere Penali e con Silvia Albano di Magistratura Democratica. Con l’auspicio che finalmente la paura lasci il campo alla ragione.