Se la Corte costituzionale, al momento di adottare l’ordinanza sull’ergastolo ostativo, aveva auspicato una leale collaborazione istituzionale, sembra difficile dire che i parlamentari del M5S ne abbiano compreso interamente lo spirito. La conferenza stampa di presentazione del disegno di legge (che attendiamo di leggere nei dettagli) con il quale il movimento intenderebbe “rispondere” alla decisione della Consulta non convince per molti aspetti e, a dire il vero, come collaborazione istituzionale sembra assai poco “leale”.

La questione non è ovviamente che si stabilisca una disciplina speciale per la concessione dei benefici agli ergastolani “non collaboranti”. Su questo anche la Corte è stata chiara nel sottolineare la necessità dell’ “acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere, sia l’attualità di (…) collegamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino”. Il problema è invece se, appunto, il meccanismo proposto sia “congruo” (come vuole la Corte) e se bastino queste proposte per dare pienamente attuazione all’invito che proviene dal giudice delle leggi. Cominciamo dalla congruità.

A quanto si comprende per il M5s le condizioni per la concessione dei benefici penitenziari sono tre : a) che il condannato abbia adempiuto integralmente alle obbligazioni civili (sostanzialmente, al risarcimento del danno alle vittime); b) che il giudice di sorveglianza chieda un parere al Procuratore Nazionale Antimafia e ad altri soggetti; c) che la decisione sia comunque centralizzata presso il Tribunale di Sorveglianza di Roma e sottratta a quelli periferici.

Il primo requisito appare illogico e contraddittorio. Non si comprende perché l’adempimento delle obbligazioni civili dovrebbe valere solo per i non collaboranti e non anche per i collaboranti. Inoltre se la finalità è quella di verificare che non ci siano legami economici con la criminalità, il fatto di aver pagato i risarcimenti non prova nulla, anzi. Quanto al parere del Procuratore Nazionale Antimafia, può anche essere, in alcuni casi, una buona idea, purché però non sia un aggravio che si aggiunge puramente e semplicemente ai tanti pareri che già oggi vengono richiesti (e su cui spesso il giudice di sorveglianza rischia di appiattirsi senza fare una valutazione propria). Con il solo effetto di allungare spropositatamente i tempi della concessione del beneficio. Infine l’accentramento al Tribunale di sorveglianza di Roma è, come è stato già autorevolmente detto, in frontale contraddizione con l’istituto della “sorveglianza”, il quale impone una prossimità del giudice alle vicende carcerarie del condannato. Accentrare la competenza in un unico ufficio nazionale, avrebbe solo l’effetto di intasare il Tribunale di Roma, rendendo più difficile l’acquisizione di tutti quegli elementi sulla condotta del condannato che devono essere alla base dello specifico e rigoroso accertamento del giudice.

Ma il difetto di fondo di tali proposte è che esse esprimono un approccio sospettamente parziale e ignorano l’ampiezza della motivazione della Corte costituzionale. Quest’ultima, infatti, non si è limitata a rimettere alla discrezionalità del legislatore la valutazione dell’eventuale aggravio di accertamenti per il caso degli ergastolani non collaboranti, essa ha anche messo in luce ulteriori profili altrettanto cruciali della disciplina. Il primo è che l’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario è una disposizione che comprende “anche reati diversi, relativi alla criminalità terroristica, ma anche delitti addirittura privi di riferimento al crimine organizzato, come i reati contro la pubblica amministrazione o quelli di natura sessuale”. Nel prevedere le misure per la concessione dei benefici – dice la Corte – non si può non considerare questo dato.

Pensando, dunque, alla precipitosa proposta dei Cinquestelle, cosa c’entra il parere del Procuratore Antimafia con i reati non riconducibili alla criminalità organizzata? Inoltre la Consulta ha messo in evidenza che una delle ragioni che impedivano di dichiarare immediatamente l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo nasceva dagli effetti irragionevoli e persino paradossali che una tale pronunzia avrebbe determinato. La sentenza della Corte, infatti, avrebbe colpito solo il divieto di concessione della libertà condizionale, ma gli altri possibili benefici, anche se meno allarmanti, sarebbero comunque rimasti preclusi. Sarebbe stato, cioè, di fatto “inibito l’accesso alle altre misure alternative – lavoro all’esterno e semilibertà – cioè proprio alle misure che invece normalmente segnano, in progressione dopo i permessi premio, l’avvio verso il recupero della libertà”. Se i parlamentari volessero effettivamente collaborare lealmente con la Corte costituzionale, di questi ulteriori problemi dovrebbero farsi carico, con onestà intellettuale e finezza giuridica.

Finezza e onestà intellettuale che appartenevano certamente a Giovanni Falcone, strattonato anche post-mortem e brandito come icona da professionisti dell’antimafia. Solo immaginare che Egli avrebbe approvato interventi così grossolani e propagandistici, tranquillamente ignari dei principi di civiltà giuridica a cominciare dalla garanzia del diritto di non auto-accusarsi, significa non aver capito molto della sua statura umana e professionale e del significato del suo sacrificio.