Noi avevamo preparato già il titolo: “Ergastolo addio, da oggi l’Italia è migliore”. Eravamo abbastanza certi del fatto che la Corte Costituzionale avrebbe posto fine all’ergastolo ostativo, ristabilendo i principi della Costituzione repubblicana, soprattutto dopo che l’avvocatura dello Stato aveva dichiarato di non opporsi alla decisione. E stavamo ragionando sul fatto che questo era il primo segnale (forse) di presenza di una nuova cultura liberale: quella della nuova ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che dopo molti anni (forse) riporta il Diritto – o almeno l’idea del Diritto – a via Arenula e pone fine a una lunga stagione di giustizialismo più temperato (Severino, Orlando, per esempio) o assolutamente esagitato (Bonafede). E invece…

Invece proprio nella serata di ieri, dopo che si è avuta notizia della presa di posizione dell’avvocatura dello Stato, è scattata una feroce controffensiva, guidata dal Fatto di Travaglio, che ha colpito subito nel segno. La punta di diamante di questa offensiva è stato un esponente del Csm, e cioè Nino Di Matteo, ex davighiano e oggi battitore libero che dispone di larghissimi appoggi nel mondo dell’informazione (come del resto tutti gli esponenti del partito dei Pm). Di Matteo, per la verità, non è esponente di quel partito, perché lavora in proprio, su questo dimostrando anche una certa indipendenza. E però, di solito, viene usato dal partito dei Pm proprio come fromboliere, perché questo, spesso, è il ruolo degli irregolari: fare e dire cose che gli altri magari non possono dire o fare per ragioni istituzionali.

Non è infatti cosa del tutto usuale che un membro del Csm, togato, intervenga nel dibattito della Corte Costituzionale mentre essa è riunita per decidere. Del resto, ormai, anche le buone creanze istituzionali, e persino le norme della Costituzione, sono, spesso, allegramente ignorate dalla magistratura. Basta pensare al caso recente di un Pm che mentre è in corso il processo nel quale lui rappresenta l’accusa si presenta in Tv, senza contraddittorio, e sostiene pubblicamente l’accusa mediatica e la gogna, spalleggiato e applaudito dal conduttore. In Tv? Diciamo pure nella Tv di Stato, quella che in genere si chiama servizio pubblico.

Capite bene che di fronte a questo galateo istituzionale, la forzatura di Di Matteo diventa quasi un’inezia. Un’inezia dal punto di vista formale, ma con conseguenze pratiche immediate e pesanti. La Corte stava per emettere la sua sentenza ma, in modo evidente, si è un poco intimorita di fronte all’annuncio di tempesta, e ha deciso di rinviare. Di Matteo, Il Fatto e il partito dei Pm hanno annunciato guerra in caso di decisione favorevole alla parziale abolizione dell’ergastolo ostativo. Hanno spiegato che loro grideranno che la Corte Costituzionale sta scarcerando i mafiosi, costringendo alla mercé del potere criminale il Mezzogiorno, completando la trattativa stato-mafia, iniziata 30 anni fa e nella quale lo Stato si era sempre dimenticato di pagare il prezzo (l’esito di quella singolare trattativa fu la violazione della Costituzione da parte dello Stato e la stabilizzazione del carcere duro per i sospetti o i condannati di reati legati alla mafia).

Per altro ieri mattina, in soccorso al partito dei Pm e a Di Matteo e a Travaglio, si è presentato un vecchio alleato: Matteo Salvini. Il quale è giustamente ostile ai magistrati di sinistra che lo inseguono o per chiedergli 49 misteriosi milioni oppure per accusarlo di sequestro di persona con motivazioni davvero scombiccherate, ma poi è pronto a sguainare la spada a difesa di qualunque magistrato reazionario voglia perseguire qualche suo nemico politico o chieda di blindare le carceri, buttare le chiavi delle celle, bastonare i detenuti non leghisti (che sono parecchi), calpestare la Costituzione e le norme internazionali. Naturalmente questa circostanza è molto grave.

Il potere di questo partito giustizialista è ben superiore al potere della sua pur cospicua rappresentanza parlamentare, perché è fondato sul quasi totale controllo sulla stampa e dell’informazione. È un potere spaventosamente invasivo. Determina gli orientamenti della giurisdizione, l’andamento delle inchieste e dei processi, le sentenze, e addirittura l’ordinamento, il funzionamento dello Stato, i meccanismi della giustizia, le limitazioni della libertà. Lo fa violando in modo aperto e incontrollabile anche la Costituzione. La battaglia che è aperta sulla questione dell’ergastolo ostativo è una battaglia gigantesca perché la posta in gioco non è solo il destino di alcune centinaia di prigionieri. Che sono esseri umani, non sono carne per macellare. Ma è la sopravvivenza della Costituzione come legge fondamentale. Il partito dei Pm vuole che questa eventualità sia cancellata, e si stabilisca che la legge fondamentale è l’emergenza e la lotta alla criminalità, e la Costituzione è una subordinata. Lo scontro è questo. Si svolge tra una maggioranza “eticista” e una piccola minoranza costituzionalista e militante per lo Stato di diritto.

Il partito dei Pm, che vuole che l’ergastolo ostativo non sia abolito, è un partito che – in modo forse paradossale, ma non tanto – chiede che sia negata l’indipendenza della magistratura. E afferma che lo Stato non può fidarsi della magistratura, in particolare della magistratura di sorveglianza. Mi spiego meglio. La legge prevede che gli ergastolani possano accedere ai benefici penitenziari dopo 26 anni di prigione. Non prevede che questi benefici siano automatici, ma affida alla magistratura di sorveglianza il compito di accertare l’eventuale pericolosità dell’ergastolano, e dunque l’opportunità di concedergli o no questi benefici. Nel regime attuale, che è un regime di emergenza, ai magistrati – ai quali non è riconosciuta indipendenza – è sottratta questa possibilità. Si stabilisce che per alcuni reati (quelli, appunto cosiddetti ostativi, legati a mafia e terrorismo) funzioni una legislazione di emergenza che esclude il ruolo della magistratura e rende automatica la non liberazione.

Il partito dei Pm e del Fatto e di Salvini chiede che la Corte Costituzionale riconosca che l’Italia vive in una emergenza mafiosa, perché lo Stato rischia di soccombere all’attacco stragista e mafioso in corso, e che quindi si possa sospendere la Costituzione e anche l’indipendenza della magistratura, e mantenere l’ergastolo ostativo. Ora, dico io, qualcuno sa dirmi dov’è l’emergenza mafiosa? Mi raccontano che il processo alla ‘ndrangheta di Gratteri, sia il più grande processo antimafia degli ultimi 30 anni. Facciamo che ci credo. Benissimo. Chiedo: come mai non si svolge in Corte d’Assise? Rispondono: perché non ci sono né omicidi né ferimenti. Ah. Dunque nei grandi delitti di mafia degli ultimi 30 anni, a sentire Gratteri, non si è versata una goccia di sangue? Ohibò, e dov’è l’emergenza? Ecco, questa è la scelta che dovrà compiere la Corte. Dovrà dirci: viviamo in una democrazia d’emergenza o in uno stato di diritto? Speriamo bene.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.