L'editoriale
L’ergastolo ostativo sta per scomparire, prepariamoci alla reazione di politici e giornali
Siamo a un passo dalla fine dell’ergastolo ostativo. La Corte di Cassazione ha rimandato alla Corte Costituzionale la decisione, dopo il ricorso di un detenuto che reclamava la liberazione condizionale che gli era stata negata dalla Corte d’appello in quanto detenuto in regime ostativo. La Cassazione ritiene che questa decisione dell’Appello possa essere incostituzionale. La decisione definitiva ora spetta alla Corte Costituzionale. Ma la decisione della Corte Costituzionale è praticamente scontata dal momento che la stessa Corte, in ottobre, ha emesso una sentenza nella quale giudica incostituzionale il rifiuto di concedere permessi premio a un detenuto in regime ostativo. Le norme attuali prevedono che i benefici penitenziari possano essere concessi ai detenuti per i reati di mafia e altri reati di pericolosità sociale, solo se il detenuto ha collaborato attivamente con la giustizia. In caso contrario zero benefici e quindi niente liberazione anticipata. La Corte Costituzionale in ottobre si era trovata a decidere sul ricorso di un detenuto che chiedeva i permessi premio sebbene non avesse collaborato con la Giustizia.
La Corte poteva decidere solo sui permessi premio. E sentenziò che non era costituzionale negare i permessi premio ai non pentiti e dunque diede ragione al detenuto. La sentenza però non poteva riguardare anche l’ergastolo ostativo perché la sentenza della Consulta può toccare solo le questioni sollevate da chi ricorre. Ora la Cassazione ha affrontato l’argomento decisivo. Quello dell’ergastolo. Rivolgendosi alla Corte Costituzionale perché ritiene “non infondato” il ricorso del detenuto che chiede, dopo aver scontato più di trent’anni di carcere, la liberazione anticipata sulla base della buona condotta e del ravvedimento (è stato condannato per due omicidi). La Corte d’Appello aveva negato la scarcerazione perché il detenuto non è pentito. Se la Consulta accetterà la richiesta della Cassazione si chiuderà finalmente una delle vicende che più ha ferito, in tutti questi anni, la civiltà giuridica italiana.
La questione dell’ergastolo – del finepenamai – è molto vecchia. Già nel 1974 la Corte Costituzionale fu chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità dell’ergastolo. Cioè della prigione senza speranza, che ovviamente esclude la rieducazione (non ha senso rieducare se la pena è infinita) e probabilmente è anche un trattamento inumano e degradante. La Consulta in quell’occasione sostenne la tesi che l’ergastolo fosse legittimo, proprio perché la legislazione prevedeva regimi di premio che concedevano, anche agli ergastolani, la possibilità di essere liberati dopo almeno 26 anni di prigione. Quindi che non fosse vero ergastolo. Poi però, nel fuoco dello scontro con la mafia, nacquero le leggi e i regolamenti speciali e spuntò l’ergastolo ostativo. Che è una pena davvero inumana. Prevede che tu non possa godere di nessun beneficio penitenziario, nessun permesso, nessuna scarcerazione anticipata. Ti murano vivo. Se vuoi uscire dall’ergastolo ostativo devi collaborare con la giustizia, cioè diventare un “pentito” e accusare qualche tuo complice. Molti detenuti, non solo della mafia, non hanno mai accettato questo ricatto (difficile definirlo in modo diverso) e sono rimasti per decenni chiusi da muri e sbarre.
Finalmente la decisione sull’ergastolo ostativo arriva alla Consulta e tutto lascia immaginare che la soluzione sarà la più logica: quella di ristabilire il diritto e la legalità e tornare alla decisione della Consulta del ‘74. Del resto in questa direzione erano già andate alcune sentenze della Corte europea e diverse dichiarazioni di prestigiosissimi giuristi, compresa l’attuale presidente della Corte Marta Cartabia. Il problema, forse, sarà quello della reazione che ci potrà essere da parte della politica, del giornalismo e di pezzi di magistratura. In questi anni il mito delle “leggi speciali” è stato una specie di “spilla” da mettere sulla giacca per dichiarare la propria antimafiosità Doc. Chi prova a sostenere che un mafioso è una persona e non un avanzo putrido dell’umanità viene solitamente additato come complice. Non solo dai grandi giornali, in genere alla coda del Fatto. Ma anche da settori consistenti della magistratura e da quasi tutti i partiti politici.
Basta dare un’occhiata a quel che è successo quando i giudici di sorveglianza hanno scarcerato per motivi sanitari e umanitari un vecchio detenuto ottantenne, malato gravemente di cancro, privo di reati di sangue, condannato a 18 anni di carcere per estorsione e che aveva già scontato 17 anni e mezzo in cella. Gli mancavano sei mesi, e se avesse potuto godere dei benefici penitenziari neanche quelli (ma non poteva goderne, appunto, perché condannato per mafia e non collaboratore di giustizia). Giornali e partiti si indignarono, spiegarono che era un boss, che era il vice di Provenzano, che era uno smacco per la giustizia, per l’Italia, per la patria e non so per cos’altro.
E la stessa cosa è successa per Zagaria, fratello di un boss della camorra. E per tanti altri poveretti per i quali il ministro, spinto dai giornali, si affrettò a varare un decreto urgentissimo, probabilmente del tutto incostituzionale, che toglieva poteri alla magistratura di sorveglianza e moltiplicava i poteri già esagerati delle Procure. E poi andò a vantarsi in Parlamento: li ho fatti riarrestare quasi tutti. Vedrete che succederà qualcosa di simile. La cultura di massa in Italia è profondamente intrisa di manette. Il giornalismo e la politica sono del tutto subalterni al partito delle Procure. Resta, nel campo garantista e del diritto, solo una parte assolutamente minoritaria dell’intellettualità, qualche scampolo di politica e i settori più avanzati (e malvisti) della magistratura.
© Riproduzione riservata