Sconfitti nell’aula, cercano di rifarsi in Parlamento. Non siamo riusciti a ingabbiare il generale Mori? Cerchiamo almeno di tenerci stretti quelli che in carcere ci sono già, mafiosi veri o mafiosi percepiti che siano. È così che torna d’attualità l’ergastolo ostativo, nell’allarme lanciato sul quotidiano di famiglia dal grillino Alfonso Bonafede, non proprio indimenticabile ex ministro di giustizia. Domani dovrebbero cominciare alla commissione giustizia della Camera le audizioni di una serie di addetti ai lavori per discutere dell’incostituzionalità della pena di morte sociale istituita nel 1992 dopo gli assassinii di Falcone e Borsellino.

Il Parlamento, questo Parlamento così refrattario a darsi un assetto liberale, ne dovrà discutere perché la Corte Costituzionale il 15 aprile scorso, con un pronunciamento più di ragion politica che in semplice punto di diritto, aveva rimbalzato la palla sui partiti invece di emettere una sentenza chiara a definitiva. Pur dicendo quindi che la norma che prevede l’ergastolo ostativo, cioè quel buco nero da cui possono uscire solo i “pentiti”, cioè i pluriomicidi che sciolgono i bambini nell’acido come Giovanni Brusca, è sicuramente incostituzionale, aveva poi mancato di coraggio, e assegnato alle Camere un anno di tempo per cambiare la norma. Così il Movimento cinque stelle è partito subito con una proposta di legge addirittura peggiorativa rispetto a quella esistente voluta dal decreto Scotti-Martelli nel 1992 dopo l’omicidio di Falcone e frettolosamente approvata dal Parlamento dopo l’assassinio di Borsellino. Quasi che i tempi delle riforme (controriforme) li dovesse dettare la mafia. “Dobbiamo correre”, dice Bonafede, la scadenza di maggio è vicina. Ma si riuscirà a trovare un’intesa all’interno di una maggioranza emergenziale con visioni opposte sulla giustizia al suo interno? O finirà come con la vicenda del fine vita e con la figuraccia di un Parlamento impotente a deliberare? Nel frattempo ci saranno alcuni dei 1.750 detenuti che stanno scontando la pena a regime speciale che dovranno aspettare un anno in più, per avere qualche speranza di uscire dal buco nero.

Il 15 aprile la Corte Costituzionale aveva emesso un comunicato con punti molto chiari: l’ergastolo ostativo è incostituzionale in quanto in contraddizione sia con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, sia con l’articolo 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Si potrebbe aggiungere, come ha più volte detto il presidente emerito dell’Alta Corte, Valerio Onida, che lo stesso concetto di ergastolo è in contrasto con la legge delle leggi, perché esclude il concetto di “rieducazione”, la funzione principale della pena. Ma da ormai quasi trent’anni esiste nel nostro ordinamento una norma che prevede l’inversione dell’onere della prova. È il condannato a dover dimostrare di non appartenere più alla criminalità organizzata. Non però attraverso un percorso di revisione della propria storia e un distacco nei fatti da una persona che non c’è più, che è cambiata e lo potrebbe dimostrare qualora gli fosse data la possibilità di accedere ai benefici previsti dalla riforma penitenziaria del 1975 e dalla Legge Gozzini del 1986. L’unica prova di distacco dalla mafia, secondo la legge incostituzionale, il condannato la può dare attraverso il “pentitismo”. E gli innocenti come possono fare? E coloro che non hanno da raccontare nulla che i magistrati non conoscano già? E coloro che non vogliono per propri principi di integrità morale (o non possono, per timore di ritorsioni sulla famiglia) denunciare altri? Zitti, e condannati alla morte sociale.

Se anche la scelta delle parole ha un senso, non è un caso che nell’intervista al quotidiano di famiglia Bonafede affermi che, alle proposte della Consulta, il Movimento cinque stelle “ha reagito”. Reagito. Con una propria proposta di legge «che tende a conservare l’impianto dell’ergastolo ostativo, quello voluto da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino». Che in realtà erano morti, quando fu fatta la legge. Il solo Falcone si era occupato di una regola simile, ma che lasciava aperta la speranza, cosa che non è poi stata osservata nella legge 306 del 1992. Ma Bonafede non si cura dei particolari e tira dritto. Così, quando l’intervistatore, il giornalista Luca De Carolis, prova a obiettargli che per un ergastolano in pratica non è facile, magari dopo tanti anni, dimostrare di non avere più rapporti con le cosche, lui fa spallucce: «Sarà un problema del mafioso».

Complimenti per la sensibilità umana, onorevole, lei sì che sa come buttare via la chiave! E quando gli si fa notare con la pdl presentata dai Cinque Stelle di fatto vuol rendere impossibile per l’ergastolano accedere ai benefici, Bonafede alza il tiro. Prima facciamo fuori quei sovversivi dei giudici e tribunali di sorveglianza territoriali, e accentriamo tutto a Roma. Poi chiediamo il parere, su ogni caso, ai pm “antimafia” e anche al procuratore nazionale, il cui giudizio, pur se non vincolante, nei fatti lo è, perché solo per motivi gravissimi può essere contraddetto. E il percorso? E il trattamento? Cavoli dei mafiosi. Ecco, cari giudici della Consulta, in che mani avete messo la vostra dichiarazione di incostituzionalità dell’ergastolo ostativo.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.