Non solo sassi e fumogeni contro i poliziotti: i vandali pro-Pal hanno messo nel mirino anche Andrea Ninzoli. Il segretario di Forza Italia Giovani in Lombardia racconta al Riformista l’aggressione subita da chi manifestava «per la pace a Gaza».

Lunedì tanti tuoi coetanei sono scesi in piazza al grido di «Palestina libera». Che effetto ti ha fatto vedere la Stazione Centrale di Milano assaltata dai teppisti?

«Prima di recarmi a Bergamo per la conferenza stampa, sono passato per lavoro dalla Stazione Centrale. Le immagini che ho visto mi hanno profondamente colpito e mi hanno spinto a domandarmi che cosa, come comunità, stiamo sbagliando. Portare i conflitti internazionali dentro le nostre città non aiuta a risolvere nulla. Al contrario, significa importare odio, tensioni e divisioni che non appartengono al nostro tessuto sociale e che finiscono per alimentare un clima di insofferenza. È proprio da questo terreno che nascono episodi preoccupanti come quello che si è verificato lunedì. Da milanese, non posso non chiedermi come l’attuale Giunta possa tollerare e, in alcuni casi, persino giustificare determinati comportamenti. Un atteggiamento simile significa non solo mancare di rispetto alle istituzioni, ma anche mettere in pericolo chi quotidianamente garantisce la nostra sicurezza: le Forze dell’Ordine, che ancora una volta si sono dimostrate decisive per evitare degenerazioni ancora più gravi. Credo che oggi più che mai serva un’assunzione collettiva di responsabilità. Le giovani generazioni, che crescono in una società già attraversata da incertezze economiche e culturali, non possono essere esposte a modelli di violenza o a messaggi che alimentano la contrapposizione. Milano, città internazionale e aperta, dovrebbe essere esempio di integrazione e dialogo, non il teatro di scontri importati da altri contesti».

Anche voi Giovani di Forza Italia siete stati bersagliati. Cosa è accaduto?

«Come segretario regionale dei Giovani di Forza Italia mi sono recato a Bergamo per presentare il nuovo coordinamento cittadino. Dopo la conferenza stampa ci siamo fermati a mangiare qualcosa, ma inevitabilmente ci siamo trovati ad attraversare il corteo che stava bloccando la città. Appena alcuni manifestanti hanno notato le nostre spillette di Forza Italia, siamo stati aggrediti verbalmente e fisicamente. Ho risposto con fermezza e rispetto: “Così come voi siete liberi di manifestare, noi siamo liberi di indossare una spilletta”. Quella semplice affermazione è bastata a scatenare ulteriori spintoni e minacce. Siamo riusciti a dileguarci senza conseguenze fisiche, ma resta l’amarezza per quanto accaduto. Un episodio che considero non solo spiacevole, ma profondamente vergognoso: in una democrazia nessuno dovrebbe temere ritorsioni per aver espresso pacificamente la propria appartenenza politica».

Avete ricevuto solidarietà da movimenti giovanili di sinistra?

«No. Nessuno dei partiti di sinistra ci ha contattato, solamente dei ragazzi di Azione ci hanno chiesto come stessimo. Anche questo mi fa pensare che molte volte il clima d’odio è fomentato direttamente da alcune forze politiche».

Qual è la regia degli scontri? Centri sociali, collettivi, «maranza»…

«Quando le circostanze si aggravano e si instaura un clima di disordine, non sempre chi cavalca l’onda lo fa per convinzione ideologica; molto spesso si tratta piuttosto di un modo per sfogare frustrazioni sociali e personali. Proprio per questo ritengo che le responsabilità ricadano non solo su chi compie materialmente gli atti violenti, ma anche su chi contribuisce ad alimentare un clima di scontro. Gli episodi avvenuti in Parlamento, come gli attacchi verbali a Tajani, pur non essendo fisicamente violenti, finiscono per legittimare una tensione che poi si riflette nelle piazze e nella società. È questo cortocircuito tra politica e strada a creare un pericoloso clima di contrapposizione».