Ivan Scalfarotto, presidente di Italia Viva Milano metropolitana e senatore difende il Modello Milano «che va completato». Pur nell’alleanza, rivendica la differenza dal Pd «che fa fatica rivolgersi a: ceto produttivo, professionisti, imprese». E su Azione «abbiamo sostenuto la loro aspirazione a un assessorato, ma litigare sulle nomine è incomprensibile ai cittadini».

Negli ultimi quindici anni Milano è cambiata profondamente. Oggi però sembra esserci una specie di cortocircuito, tanto che si parla di “crisi da successo”. È così?
«In questi ultimi quindici anni Milano è stata protagonista di uno sviluppo decisivo e nient’affatto scontato che l’ha resa una capitale europea, attrattiva, internazionale, capace di competere con le grandi città del continente. E sbaglia mira chi oggi racconta gli ultimi quindici anni come una stagione da archiviare o, peggio, da rinnegare. Milano è una città eccentrica rispetto al resto del Paese, per molti aspetti più vicina a Parigi o a Londra che alle altre grandi città italiane, ed è anche per questo che la politica italiana fa fatica a comprendere appieno le complessità che la nostra città porta con sé. È qui, per esempio, che la sinistra deve raccogliere la sfida di staccarsi dal suo schema classico, fatto soprattutto di redistribuzione e welfare, per misurarsi con una città che, come fanno le grandi metropoli internazionali, anticipa problemi e opportunità del futuro».

Sviluppo, gentrificazione, prezzi delle case: al di là delle inchieste c’è un problema nel conciliare crescita e diritto all’abitare?
«Milano affronta sfide che accompagnano tutte le grandi città globali: pensare che la soluzione sia fermare lo sviluppo significa non capire il problema e condannare la città all’immobilismo. La strada giusta è invece usare le risorse dello sviluppo per sostenere chi fa più fatica, assicurandosi che l’anima sociale che è parte irrinunciabile dell’identità di Milano resti sempre protagonista. Il piano casa predisposto dal Comune, per esempio, va in questa direzione. Il punto politico è chiaro: è lo sviluppo che ci offre le risorse per politiche sociali avanzate. La crescita va governata, non demonizzata, perché è la condizione che può permettere alla città di diventare sempre più inclusiva».

Adesso però ci ritroviamo con Cantieri bloccati e il Salva Milano che doveva essere lo strumento per proseguire nella rigenerazione è invece naufragato. Come se ne esce?
«La Procura è intervenuta in materia amministrativa, imponendo una lettura delle norme opposta a quella che, per favorire la rigenerazione urbana, si era affermata negli anni in Parlamento e davanti ai TAR e che il Comune aveva seguito. Il “Salva Milano” avrebbe risolto il problema, validando quell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale. Il fatto che sia naufragato è in parte responsabilità del PD ma lo è ancor di più della maggioranza di governo, che aveva e ha i numeri per approvarlo. Alla destra dico che in Senato, dall’opposizione, noi siamo pronti in ogni momento a votare quel provvedimento. Ma non risponderanno a questa sfida, perché guardano solo al proprio tornaconto politico. Non all’interesse della città, delle imprese, dei lavoratori e delle famiglie rimaste intrappolate in un meccanismo infernale. Milano non è una priorità per questo esecutivo».

Andiamo oltre l’edilizia: la percezione è che ci sia un modello di città da ripensare.
«Il modello non va rovesciato, va completato. Milano funziona perché ha saputo mobilitare le sue energie migliori: imprese, università, sindacato, terzo settore. È questa alleanza larga, profondamente milanese, che l’ha resa una capitale europea. Ora la politica deve fare un salto di qualità: non discutere se Milano debba crescere, ma come redistribuire meglio i benefici della crescita, rafforzando coesione sociale, qualità della vita e fiducia dei cittadini nelle istituzioni».

Senta, non è che certe contraddizioni nascono anche perchè Milano soffre la mancanza di una vera visione metropolitana?
«Sì, ed è una delle grandi questioni irrisolte. Serve una legge per Milano Metropolitana che dia poteri, risorse e responsabilità adeguate a una grande area urbana europea. Questo significa anche avere il coraggio di “allargare” la città: non in senso amministrativo, ma funzionale. Integrare davvero i comuni dell’area metropolitana, investire seriamente nei trasporti pubblici, rendere possibile e desiderabile vivere fuori dal centro senza essere penalizzati».

Forza Italia un paio di mesi fa parlò di un “patto per Milano”. È immaginabile una piattaforma comune tra moderati e riformisti?
«Non con questa destra. Con la destra sovranista che guarda a Orbán, che non sa scegliere tra Trump e l’UE, che alza le tasse senza far crescere l’economia e che interviene politicamente sul mercato, peraltro contro due banche milanesi. La destra italiana non è liberale né liberista: è statalista, corporativa, protezionista, ostile alla vocazione internazionale di Milano. Consegnare la città alla destra significa condannarla a un provincialismo che non le appartiene».

A Palazzo Marino siete in maggioranza ma fate gruppo con Azione. Voi siete saldamente nel centrosinistra, Azione da tempo è corteggiata dal centrodestra e dopo il confronto critico sul rimpasto di giunta, rivendica mani libere. Come sono i rapporti?
«Ottimi. Abbiamo sostenuto la loro aspirazione a un assessorato, ma oggi l’imperativo categorico è far bene nell’anno e mezzo di consiliatura che resta. Litigare sulle nomine è incomprensibile ai cittadini, soprattutto in una fase complessa come questa. Trovo invece positivo lo sforzo del sindaco Sala, già a partire dalla vicenda del nuovo stadio, di coinvolgere maggiormente le forze politiche e lo incoraggio a proseguire. In questo momento conta dare un contributo serio e responsabile al lavoro dell’amministrazione, non alzare il livello della polemica».

E il rapporto con il Pd, specie con le componenti più a sinistra che in molti casi sembrano spostare l’asse politico dell’amministrazione?
«Solo uniti si vince, e bisogna vincere. Detto questo, Italia Viva è alleata del Pd, ma è cosa diversa dal Pd. Il suo ruolo è parlare a quei milanesi a cui oggi il Partito democratico fa fatica a rivolgersi: ceto produttivo, professionisti, imprese. È il centrosinistra che tiene insieme crescita e giustizia sociale, senza demonizzare sviluppo e prosperità».

Torniamo alla città. Casa, salari, periferie, sicurezza: manca un’agenda di priorità?
«La nostra agenda c’è ed è chiara. Lavoro, sicurezza, qualità dello spazio urbano, accesso ai servizi, inclusione e integrazione. A tutto questo si aggiunge un tema cruciale: l’accessibilità. Una città giusta è una città in cui muoversi non è un privilegio. È l’agenda di una capitale europea, protagonista di quell’ordine internazionale di cui parla con grande forza il Presidente Mattarella. Milano è una città che attrae talenti da tutto il mondo grazie alle sue università, mentre l’Italia perde centinaia di migliaia di giovani ogni anno. Il patrimonio costituito da questi giovani va difeso e valorizzato, insieme al contributo decisivo del sindacato e del terzo settore ambrosiano, che sono parte integrante del modello sociale milanese».

Il sindaco del dopo Sala: civico o politico?
«È un dibattito che non mi appassiona, a meno che non sia un modo elegante per dire che la politica non è in grado di esprimere una guida all’altezza di una città complessa come Milano, il che sarebbe profondamente sbagliato. Milano metropolitana ha bisogno di una guida che sia capace di amministrare una realtà complessa e anche di ricostruire una connessione con la città: empatia, visione, amore per Milano. Oggi la frattura più profonda tra amministrazione e cittadini non è ideologica, è sentimentale. Ed è anche per questo che Milano non si vince senza una proposta che parli al centrosinistra tutto intero. Il lavoro di costruzione di una gamba riformista solida – anche attraverso l’esperienza di Casa Riformista, promossa da Matteo Renzi e cresciuta bene in molte realtà regionali – dimostra che questo spazio esiste ed è decisivo. Milano, più di ogni altra città italiana, ha bisogno di un riformismo europeo, adulto, capace di guardare al futuro con fiducia».