Giorgia Meloni ha più volte annunciato la volontà di aiutare il ceto medio. Potrebbe non essere una dichiarazione di rito: è lì che si gioca gran parte del futuro del Paese. Perché se i ricchi possono permettersi di rinunciare alla spinta a rischiare e i poveri si limitano spesso a sopravvivere, è nel mezzo che pulsa la vera forza vitale di una nazione. È il ceto che investe nell’istruzione, che avvia piccole imprese, che coltiva competenze, che crede nel merito.

Chi è il ceto medio

Eppure, proprio questa fascia sociale è oggi la più colpita. In Italia si considera “medio” per ragioni culturali e abitudini anche chi percepisce tra i 20 e i 40mila euro l’anno: cifre tutt’altro che rassicuranti, soprattutto se confrontate con le condizioni della middle class dei Paesi concorrenti. Con questi redditi modesti il ceto medio sostiene, in proporzione, oltre 110 dei 190 miliardi di Irpef versati allo Stato. Da questo dato si comprende che si fa carico anche di altri che evadono dai loro doveri. Nel frattempo viene progressivamente escluso dai benefici del welfare ed estromesso dai bonus, negati a chi paga regolarmente perché impossibilitato a evadere.

Il paradosso del ceto medio

Il paradosso è evidente: si premia chi sottrae reddito al fisco, si punisce chi contribuisce davvero. A questo si aggiunge l’erosione del risparmio, con il logoramento di due pilastri storici di sicurezza: Bot e mattone. I primi non offrono più rendimenti adeguati, privando famiglie e Stato di uno strumento che un tempo garantiva entrambi: lo Stato finanziava il debito con il risparmio nazionale evitando il più possibile la finanza internazionale più costosa; le famiglie godevano di rendimenti migliori delle banche. Il secondo è stato trasformato in un investimento gravoso: tasse, vincoli e una normativa sugli affitti che scoraggia i proprietari lo hanno reso poco conveniente. Così, fonti un tempo affidabili di stabilità sono diventate fardelli, e il ceto medio si ritrova bersaglio fiscale senza prospettive.

L’astensionismo frutto dell’abbandono

Non sorprende allora l’astensionismo crescente: è la spia più chiara della delusione e dell’abbandono. Illusorio pensare di riconquistare la fiducia solo con qualche gesto simbolico. Per decenni i governi, di ogni colore, hanno imboccato la scorciatoia: aumentare debito e tasse non per lo sviluppo, ma per alimentare assistenzialismo e moltiplicare burocrazie senza fine nel pozzo senza fondo del regionalismo. Il risultato è un carico fiscale e tasse nascoste tra i più alti d’Europa, cresciuto di circa il 12% in trent’anni, servizi pubblici sempre più scadenti e un Paese che soffoca chi dovrebbe trainarlo.

Centralità al ceto medio

Se Meloni intende davvero cambiare rotta dovrà spezzare questo paradigma. Il declino del ceto medio è il cuore della deviazione subita dalla società italiana. Serve dunque una discussione profonda, che coinvolga forze politiche e sociali in un nuovo Patto nazionale. Un Patto per restituire centralità a chi si impegna e produce, per premiare chi merita e compete lealmente, per ridare valore al risparmio, per ridurre tasse e debito. Perché un ceto medio che cresce genera fiducia e trascina lo sviluppo; un ceto medio che arretra trascina invece il Paese nel declino.

Raffaele Bonanni

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