In un Paese come il nostro, completamente impazzito per quanto accade a Gaza, in preda a un’isteria collettiva per il racconto propagandista e fuorviante pro-Pal che siamo ormai costretti a subire da mesi, sta avvenendo un po’ di tutto.

L’esperienza di lavoro

Succede a un amico ebreo, professionista nel mondo della comunicazione, di entrare in contatto con un’azienda giovane e dinamica del Centro Italia e di avviare con i titolari un discorso che possa portare a una collaborazione professionale nella sua sfera di competenza. Tra l’amico ebreo e il management nasce un’immediata simpatia e identità di vedute su come poter sviluppare assieme progetti che valorizzino l’immagine dell’impresa. Del resto, in questa fase epocale, raccontarsi e sapersi rappresentare è il segreto del successo per qualsiasi attività. Passano settimane da quella prima conoscenza e l’amico, oltre che occuparsi di comunicazione, è giornalista e descrive nei suoi articoli quello che accade in Medio Oriente, esprimendo i suoi pensieri senza remore sul conflitto tra Israele e Hamas. Negli stessi frangenti, l’amico presenta ai nuovi potenziali clienti il piano richiesto per implementare la crescita aziendale sul piano comunicativo. Tutto sembra andare bene: le idee sembrano in linea con le richieste aziendali, ma l’approvazione del progetto tarda ad arrivare. Una telefonata del titolare dell’azienda rompe gli indugi. “Ci devi scusare ma sul conflitto tra israeliani e palestinesi tu sei troppo esposto a favore di Israele, e questo potrebbe danneggiarci. Preferiamo non lavorare con te”.

La dignità della persona calpestata

Allibito, ferito tanto sul piano professionale quanto su quello umano, al mio amico non rimane che far notare al titolare che una spiegazione del genere è orribile sotto ogni aspetto. Viene calpestata così la dignità della persona e del lavoratore, le sue idee mortificate dalla intolleranza attualmente in corso. Ancora una volta, come in altri momenti della Storia, l’ebreo che esprime la propria identità senza remore e timori rappresenta un corpo estraneo da tenere lontano. Il sionista diventa un personaggio scomodo da tenere ai margini come un appestato portatore di un virus letale. Raccontare la verità su Israele e su quanto avviene realmente a Gaza è sconveniente, imbarazzante per alcuni conoscerla, addirittura un fastidio per altri. Non allinearsi al piagnisteo continuo – con il quale gran parte dei nostri media cattura la lacrima facile del pubblico – destabilizza, così come uscire fuori dal coro filopalestinese rischia di compromettere rapporti e opportunità, lavorative e non solo. A un giornalista ebreo che non nasconde le proprie idee, e che le manifesta in maniera deontologicamente corretta, vengono chiuse in faccia le porte di una nuova esperienza lavorativa, anche in un settore che nulla ha a che fare con i conflitti mediorientali, perché è pericoloso avere rapporti con lui. Amara la riflessione a conclusione di questo racconto. Il fascismo cominciò cosi, con l’emarginazione degli ebrei dalla vita pubblica e con il loro discredito. Questo avviene nell’Italia del 2025, a distanza di 87 anni dalla promulgazione delle leggi razziali del 1938 di Mussolini. La storia rischia di ripetersi.

Ruben Della Rocca

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