La giustizia riparativa è «un argomento sul quale anche i pubblici ministeri è opportuno che imparino a cimentarsi, partendo dalla considerazione in base alla quale gli istituti carcerari attualmente sono prevalentemente una scuola di criminalità con una percentuale molto alta di recidivi fra coloro che hanno espiato la loro pena in stato di custodia; la situazione è ancora più grave e attuale se si considera che la regione Lombardia, quanto a popolazione carceraria, detiene alcuni non invidiabili primati». Lo ha detto il procuratore generale di Milano, Francesca Nanni, nel Bilancio di responsabilità sociale degli uffici milanesi presentato ieri al Palazzo di giustizia. Noi, a Napoli, non conosciamo ancora i risultati del bilancio sociale degli uffici giudiziari dell’ultimo anno ma conosciamo la situazione delle carceri campane afflitte dalle irrisolte criticità del sistema e da un sovraffollamento crescente.

Nei quindici istituti di pena della nostra regione si contano, in base a dati ministeriali aggiornati al 31 ottobre, 6.668 detenuti di cui 328 donne e 922 stranieri, a fronte di una capienza regolamentare di 6.106 posti. E quello della giustizia riparativa è un tema rispetto al quale la nostra giustizia sconta un ritardo di anni. Se ne è parlato a Napoli in occasione di una conferenza internazionale all’università Suor Orsola Benincasa. «Siamo arrivati tardi sulla giustizia riparativa, e questo ritardo deve essere uno stimolo a fare presto nel recuperare», ha affermato la professoressa Mariavittoria del Tufo, docente di Diritto penale, intervenendo sui limiti e le possibilità di questo tipo di giustizia, una giustizia orientata a considerare il reato in termini di danno alle persone, una giustizia che punta alla riconciliazione più che alla punizione e, per dirla con le parole del giurista ed ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky, «una prospettiva nuova e antichissima al tempo stesso, che potrebbe modificare profondamente le coordinate con le quali concepiamo il crimine e il criminale: da fatto solitario a fatto sociale; da individuo rigettato dalla società a individuo che ne fa pur sempre parte, pur rappresentandone il lato d’un rapporto patologico».

«Purtroppo nel nostro Paese manca la capacità di pensare in questi termini – ha sottolineato del Tufo – Non c’è una cultura diffusa, anche gli specialisti spesso ignorano la vera essenza della giustizia riparativa. I limiti culturali, quindi, vanno velocemente superati e i limiti esistenti per una mancanza di servizi vanno colmati». Un’attenzione particolare va data inoltre alle vittime dei reati secondo Grazia Mannozzi, ordinaria di Diritto penale presso l’università dell’Insubria e nominata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia nella Commissione Lattanzi per la riforma della giustizia. «La vera sfida – ha concluso Mannozzi – è costruire percorsi di giustizia riparativa che siano affidabili, sicuri e diffusi su tutto territorio, gestiti da mediatori facilitatori adeguatamente formati e capaci di individuare e lavorare in contesti difficili».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).