Più tardi, nel febbraio 1947 su Harper Bazar l’ex ministro della guerra Henry Stimson scriverà: «Non ci sarebbe stato nulla di più controproducente di una dimostrazione che si concludesse con un buco nell’acqua. E, inoltre, non c’erano bombe atomiche da sprecare». Gli echi del dibattito arrivarono a Tokio dove l’imperatore Hirohito chiese al suo governo di intavolare trattative per finire alla guerra.
Lo scienziato ungherese Leo Szilard scrisse allora da Chicago a Teller una lettera firmata anche da altri scienziati in cui insisteva per un uso dimostrativo dell’atomica, prima di quello di­struttivo. Teller rispose che Robert Oppenheimer non era d’accordo, perché la decisione spettava soltanto al governo e non agli scienziati. Teller in seguito disse che ignorava che lo stesso Oppenheimer, insieme a Enrico Fermi, Arthur Compton e Ernest Lawrence facevano parte di un comi­tato ristretto che aveva lo scopo di fornire consulenza al presidente sull’uso dell’arma atomica. E che per “uso dimostrativo” intendeva un’esplosione a dieci chilometri d’al­tezza sulla baia di Tokio, senza creare danni e davanti agli occhi dell’imperatore: «Gli scienziati ne parlarono fra loro, ma Oppenheimer non volle sottoporre l’opzione al presidente, per­ché pensava che in questo modo la guerra sarebbe finita prima».

Compton e Lawrence si dichiararono contrari al lancio immediato. Il 16 luglio la prima bomba atomica sperimentale esplode nel deserto del Nuovo Messico ad Alamogordo nella pianura di Jornada del Muerto (cammino del morto) e la bomba sperimentale viene chiamata Trinity.  Fermi dice: «Potrebbe darsi che l’esplosione non si possa verificare, e può darsi che l’esplosione non si ar­resti e bruci tutto il pianeta. In ogni caso avremo raggiunto un importante ri­sultato scientifico». Oppenheimer mormorò alcuni versi di un poema sa­cro indù, Segre pensò all’apoca­lisse e altri si abbandonarono a considera­zioni sul futuro dell’u­manità. La notizia venne trasmessa a Truman che si trova a Potsdam e che la sus­surrò a Churchill, mandandolo in visibilio. A Stalin il presidente ameri­cano disse: «Abbiamo avuto notizia di una bomba di nuovo tipo». Stalin annuì distratta­mente, es­sendo ben informato del progetto Manhattan e dei fisici di Los Alamos da due scienziati: il fisico Klaus Fuchs e il biochimico Harry Gol ed altri. Stalin con al­trettanta noncuranza rac­contò dei tentativi giapponesi per ottenere una capitolazione.
Truman si finse vagamente stupito, essendo perfettamente informato grazie al sistema “Magic” di intercettazione e decrittazione.
Il giorno successivo ci fu la Dichiarazione di Potsdam, di Truman, Stalin e Churchill, un ul­timatum al Giappone letto per radio e non consegnato per vie diplomatiche. Il go­verno di Tokyo è sconvolto dall’umiliazione di questa procedura e temporeggia. Poi replica con una dichiarazione tipica­mente orientale e involuta di Suzuki a una confe­renza stampa, che viene scambiata per un rifiuto.

Alla conferenza di Potsdam Stalin informa in modo vago gli alleati degli approcci giapponesi per arrivare alla pace e di altri condotti attraverso la Svezia. Ormai Truman, succeduto a Roosevelt, sa di avere l’atomica e di poter piegare il Giappone senza far scendere in campo l’Urss con cui non intende con­trarre né pagare debiti. La sua linea è semplice: l’imperialismo giapponese è comunque battuto, quello sovietico deve essere bloccato invece nella sua fase nascente. Stalin av­verte il cambiamento di umore americano e decide di affrettare i tempi dell’invasione in Manciuria. Intanto, la bomba era stata recapitata sull’isola di Tinian alla base del reparto di volo. Truman era ormai deciso ad ottenere per via atomica la resa incondizionata di Tokio senza dover passare per i favori di Stalin. Il generale Eisenhower e l’am­miraglio Leahy si dichiarano contrari all’uso «perché il Giappone è ormai sconfitto». Degli scien­ziati 57 sottoscri­vono il “rapporto Frank” con cui si dichia­rano contrari all’uso della bomba anche da loro creata.

Sul fronte opposto, due scien­ziati volevano l’uso della bomba per poterne valutare gli effetti. Robert Oppenheimer e Enrico Fermi dissero: «Una distruzione nel deserto non significa nulla». Hiroshima fu scelta per­ché intatta e quindi ec­cel­lente test per mi­surare le distruzioni.
Fu usato l’ordigno “Little boy” traspor­tato dall’”Enola Gay” con uranio 235, mentre “Fat Man” destinato a Nagasaki era al plutonio. La seconda bomba fu lanciata per poter esaminare le differenze dei due diversi modelli. Mentre an­cora la palla di fuoco ardeva nella valle di Urakami a Nagasaki, Truman dichia­rava: «Abbiamo impiegato la bomba ato­mica per abbre­viare il conflitto… preghiamo Dio di illuminarci nell’uso di questo stru­mento, se­condo le sue intenzioni». Churchill dirà: «E’ stato un gesto necessario per salvare 500mila soldati inglesi e un mi­lione e mezzo di americani». Lo scienziato inglese Rotblat dirà: «Credo in­vece che questi numeri fossero assolutamente esagerati. E che gli stermini di Hiroshima e Nagasaki servirono soltanto a impressionare i russi. Lo ammise il gene­rale Eisenhower alla fine della guerra e allora io mi sentii particolarmente felice di aver abbandonato il pro­getto».

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.