Ci sono argomenti di cronaca che si esauriscono rapidamente e perdono la propria importanza in breve tempo e ce ne sono altri che, invece, si incidono nella coscienza e iniziano ad accompagnare le nostre riflessioni sul futuro, sulla comprensione del mondo e sul senso profondo di trovarci qui e ora. Notizie che ci trasportano lontano e che evocano la nostalgia di un futuro a cui non potremo assistere.

L’immortalità è un attributo divino, e “mortale” è un sinonimo poetico di uomo. Eppure, un essere che non considereremmo certo divino, anzi, nella scala della nostra considerazione è comunemente ritenuto infimo, potrebbe fregiarsi di questo appellativo. Ricerche sempre più accurate stanno facendo appunto emergere la facoltà di alcuni vermi di rigenerarsi indefinitamente. Sappiamo dai libri di scuola che gli anellidi, ad esempio, di cui il lombrico è probabilmente il più noto rappresentante, se tagliati a metà, danno vita a due esseri autonomi, in pratica sono in grado di scindersi come i batteri.

Ma il verme che ci sta riservando le più grandi sorprese è una vecchia conoscenza, il Caenorhabditiselegans, o più brevemente, C. Elegans, come lo chiamano tutti quelli che se ne occupano. Una vecchia conoscenza perché cominciò a essere studiato all’inizio degli anni 60 e fruttò nel 2002 al prof. Brenner, che si era appassionato alle sue capacità, il premio Nobel per la medicina e la fisiologia. A vederlo, il C. , tanto elegante non sembra, anzi parrebbe avvalorare la scarsa considerazione che gli riservano i profani. Eppure questo vermetto di un millimetro scarso di lunghezza e di sole mille cellule non finisce mai di sorprendere. È diventato una specie di organismo modello su cui sperimentare le teorie e i metodi più avanzati della genetica.

Già è un paradosso il fatto che il suo Dna sia costituito di poco meno di 20mila geni, cioè all’incirca lo stesso numero di un essere umano, che però è enormemente più complicato. È vero che la lunghezza del Dna non è un buon parametro per valutare la complessità di un essere vivente, ma sapere che il nostro “manuale di istruzioni” ha circa le stesse pagine di quello dell’Elegante, un qualche effetto a me lo fa.

Una notizia che lo riguarda è stata pubblicata sulla rivista internazionale di medicina Cell Reports, a firma congiunta di ricercatori statunitensi e cinesi. Il vermetto, grazie a una tecnica che consiste nell’attivare simultaneamente due “interruttori molecolari”, è in grado di vivere 5 volte più a lungo e ci sono prospettive di prolungare indefinitamente questa durata. Va bene, tutti contenti per i simpatici vermetti, ma perché entusiasmarsi tanto? Il motivo è che questi due interruttori, li abbiamo anche noi e i segreti che stanno svelando sono davvero sorprendenti.

Negli esperimenti che erano stati condotti in passato si era già riscontrato che l’attivazione di ciascuno di questi interruttori comportava un allungamento sostanziale della vita del C. Elegans, rispettivamente del 30% all’accensione del primo e del 100%, ovvero raddoppio della durata, per il secondo. L’ipotesi più plausibile era che l’attivazione simultanea consentisse un prolungamento di circa il 130%, se i due effetti si fossero sommati, o del 160% se si fossero moltiplicati ((1+0,3) x (1+1)). Ma, sorprendentemente, l’effetto sinergico delle due accensioni ha comportato un aumento del 500%.

In altre parole, l’attivazione di un interruttore incrementa l’azione dell’altro e il risultato congiunto è molto superiore ai risultati ottenuti separatamente. Questa nuova evidenza contribuisce ad aprire scenari in passato inimmaginati: non è tanto il singolo interruttore ad avere importanza, quanto il “circuito”, la rete in cui l’interruttore molecolare è inserito. La lotta contro l’invecchiamento biologico è entrata in un’altra fase.

D’altronde, gli studi condotti sulla popolazione degli anziani ultracentenari non avevano fornito una risposta univoca alla longevità: non era stato rintracciato un “gene di lunga vita”, che accomunasse i soggetti in grado di superare la soglia del secolo. Era quindi molto probabile che la risposta venisse da un singolo gene ma, appunto, dalla sinergia tra vari geni, come sembra confermare l’indagine sul vermetto. Il prossimo traguardo sarà proprio di individuare rapporti e corrispondenze tra l’azione dei geni o, come si dice in gergo, passare da una visione “locale”, in cui ci si concentra sui singoli elementi, a una visione “sistemica”, in cui quello che conta di più sono le correlazioni tra le parti.

Non è un concetto del tutto originale, in altri ambiti della scienza è stato confermato. È il caso ad esempio della fisica dei sistemi fortemente correlati, esemplificati nel famoso “effetto farfalla”, che recita (in una delle sue molte versioni): «Il battito di ali di una farfalla può provocare, sei mesi dopo, un uragano dall’altra parte del mondo». Certo, è un caso estremo, ma rende bene l’idea: quando le parti di un sistema sono in dialogo stretto tra di loro, una piccola causa può provocare un grande effetto, anche a lunga distanza e dopo molto tempo.

Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia moderna, aveva questa stessa visione sistemica nella descrizione delle comunità umane. Durkheim sosteneva che quando molte persone stanno insieme e costituiscono un gruppo, una tribù, un clan, una tifoseria ecc. la psicologia individuale diventa trascurabile e il gruppo sarà governato da altre leggi, che riguardano il comportamento collettivo, a prescindere dal pensiero dei membri che lo compongono.

La genetica sta cominciando a entrare in questa dimensione collettiva, sistemica, con prospettive rivoluzionarie: se due interruttori molecolari possono quintuplicare la vita, cosa potranno mai fare dieci o venti interruttori accesi contemporaneamente? Naturalmente non è affatto scontato che esistano dieci o venti interruttori adibiti a questa funzione, ma è certo che le potenzialità del patrimonio genetico degli esseri viventi diventano sterminate. È l’aritmetica, il calcolo combinatorio a dircelo.

Se ci sono 20mila geni, ci saranno circa 200 milioni di possibili coppie di geni, ovvero 200 milioni di modi di selezionare i geni a due a due. E non vi sto a dire quante diverse terne di geni si potrebbero estrarre da quei 20mila, perché il numero sarebbe già astronomico! Ipotizzando (non è così, ma solo per facilità di discorso) che ogni gene abbia un certo effetto, ci saranno 20mila possibili effetti dovuti all’azione individuale dei geni, ma ben 200 milioni dovuti all’azione congiunta di due geni, come nel caso della quintuplicazione della vita del vermetto. Insomma, si spalanca la prospettiva sterminata di possibilità per biologi e genetisti, di cui il prolungamento di cinque volte della vita è solo un primo, timido passo.