Il futuro dei giovani napoletani? Vale 40 centesimi…

Tra le città italiane più disposte a investire in politiche giovanili non c’è Napoli. Il capoluogo partenopeo è relegato agli ultimi posti della classifica, con una spesa di soli 40 centesimi pro capite (l’ultima è Venezia con 5 centesimi, la prima è Messina con una spesa di 9,43 euro). Il dato emerge da una ricerca di Openpolis che ha analizzato la spesa pro capite per cassa riportata nelle voci di bilancio dei Comuni italiani con più di 200mila abitanti. È vero che spese maggiori o minori non implicano necessariamente una gestione positiva o negativa della materia ma è anche vero che più si investe in mezzi e risorse e più si può sperare di garantire servizi efficienti. E pertanto colpisce che la spesa per politiche giovanili sia così bassa in una città dove invece più servirebbero politiche per i giovani, se è vero che criminalità minorile e devianze sono frutto di degrado e assenza di opportunità e la disoccupazione è una piaga da anni.

Secondo i dati della ricerca aggiornati al 2018, a Napoli, con i suoi circa 970mila abitanti, la spesa per politiche giovanili è stata di poco più di 380mila euro, pari, come dicevamo, a 40 centesimi pro capite. Poco se paragonata alla spesa di Torino, che conta circa 880mila abitanti e nel 2018 ha investito oltre 2milioni e 680mila euro, cioè 3,04 euro pro capite, o a Milano dove, a fronte di quasi un milione e 400mila abitanti sono stati spesi quasi 2 milioni e 900mila euro (2,1 euro pro capite). Quando si parla di investimenti in politiche giovanili si parla di spese da destinare ad attività per l’autonomia e i diritti dei giovani, per sportelli di informazione, per iniziative ed eventi, seminari e corsi, per associazionismo e volontariato. Poco più di 380mila euro possono bastare per organizzare politiche efficaci per i tanti giovani di Napoli? Difficile pensare che non si possano destinare più fondi a sostegno di bambini e ragazzi che rappresentano una fetta di popolazione tutt’altro che irrilevante.

Gli abitanti da zero a 17 anni di età a Napoli rappresentano circa il 18% della popolazione, una fetta importante dunque, che evidenzia il paradosso tutto napoletano: Napoli è prima, tra le città italiane, per numero di cittadini minorenni ma è tra le ultime per politiche sui giovani. Eppure i ritorni di simili investimenti sarebbero enormi, sul piano della sicurezza e della legalità, della società e dell’economia. Nell’annuale rapporto sul benessere sociale, l’Istat ha messo in evidenza che istruzione e conoscenza non agiscono soltanto come fattore protettivo per l’acceso e la permanenza nel mercato del lavoro in posizioni più coerenti con le conoscenze possedute, meglio retribuite e più appaganti, ma «sono anche una chiave che dà accesso – si legge nel rapporto – a una pluralità di aspetti del benessere individuale: consentono di vivere più a lungo e con condizioni di salute migliori, ma anche di attivare il valore aggiunto delle reti soprattutto per quanto riguarda le attività culturali e quelle di partecipazione, ad esempio nel volontariato». Inoltre istruzione e formazione del capitale umano sono un vettore primario di promozione sociale. Consentono anche di creare relazioni.

“Fare rete”: quante volte abbiamo sentito questa espressione, quante volte la si è usata per indicare una soluzione ai cronici problemi della città commentando fatti tragici. È accaduto anche in questi giorni, dopo la morte di Luigi Caiafa ucciso a 17 anni da un politicizzo intervenuto per sventare una rapina. Rete di servizi sociali, rete di relazioni, rete di sostegno a famiglie e lavoro. «I vantaggi delle risorse relazionali – si legge ancora nel rapporto – si estendono oltre i confini dell’individuo e della sua famiglia, stimolano il senso di appartenenza, promuovono il senso civico e favoriscono la fiducia interpersonale e verso le istituzioni con effetti importanti sulla società nel suo complesso». E allora non resta che sperare che per i giovani si investa di più anche a Napoli.