L'intervista
Il generale Serino in campo con i Liberaldemocratici: “Tolgo la divisa: in politica per le ragioni dell’Occidente”
Le sfide per la difesa caratterizzeranno il prossimo futuro. Ne parliamo con il Generale Pietro Serino, già Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano dal 2021 al 2024 e membro della segreteria del Pld.
Generale Serino, è in approvazione la legge di bilancio. Le risorse destinate alla difesa sono sufficienti o c’è ancora molto da fare?
«Per esprimere un giudizio compiuto sui fondi della difesa previsti per il 2026 è necessario attendere ancora qualche mese. Nell’attuale formulazione della legge di bilancio non sono infatti conteggiate le risorse che l’Italia dovrebbe ricevere dal fondo europeo SAFE, destinato al rafforzamento dei sistemi di difesa degli Stati membri».
Quando sarà possibile avere un quadro chiaro?
«Verosimilmente tra maggio e giugno, una volta concluso il percorso di rientro dell’Italia dalla procedura europea per deficit eccessivo. Solo allora avremo il quadro complessivo».
Ciononostante, una tendenza al recupero della capacità di deterrenza sembra evidente.
«Sì, ed è un dato importante. Rimane un trend di incremento della spesa, soprattutto nei settori cruciali: l’ammodernamento dello strumento militare e i fondi per l’addestramento. Questi ultimi, dopo anni di forti riduzioni, stanno lentamente risalendo, uscendo da una condizione che i documenti programmatici definivano sotto il livello di guardia».
Di questa inversione di tendenza lei è stato, in qualche modo, protagonista…
«Sì, posso testimoniarlo direttamente. Ero capo del gabinetto del ministro della Difesa quando, con il governo Conte II, fu istituito un fondo pluriennale per l’ammodernamento dello strumento militare che ha segnato una svolta rispetto al lungo periodo di riduzioni precedenti».
Dunque il primo vero aumento delle spese militari è da attribuire a Giuseppe Conte?
«Sì, ma vorrei sottolineare un aspetto ulteriore. Quel fondo non ha rappresentato solo un aumento delle risorse, ma anche un passo decisivo in termini di trasparenza verso il Parlamento e i cittadini. Prima le risorse erano frammentate tra diversi ministeri e livelli istituzionali, rendendo difficile una visione unitaria».
E cosa è cambiato dopo?
«Con quel fondo il Parlamento ha potuto valutare le spese militari sulla base di dati chiari e organici. È stata un’operazione molto positiva, proseguita poi sia dal governo Draghi sia dal governo Meloni, che hanno continuato a rifinanziarlo, dandogli stabilità e consistenza».
Parallelamente, però, aumentano anche le sfide. Siamo davvero entrati in una fase diversa della storia?
«Se guardiamo a ciò che oggi viene definito guerra ibrida, non posso che concordare con chi sostiene che non siamo più in uno scenario di pace. La guerra ibrida è una guerra permanente, già in atto da anni, anche se a lungo è rimasta poco visibile all’opinione pubblica».
Quindi non ha più senso distinguere tra pace e guerra?
«Se per pace intendiamo l’assenza di un conflitto convenzionale classico, il termine ha ancora un significato. Ma se osserviamo come oggi gli Stati si confrontano per interessi, risorse e influenza, siamo entrati in una fase di conflitto permanente. È una constatazione che può spaventare, ma va affrontata».
La posizione del governo sull’Ucraina è chiara?
«Se guardo agli interventi del Presidente del Consiglio in vista del Consiglio europeo, vedo una posizione chiara e coerente con la tradizionale collocazione geopolitica della Repubblica italiana dal dopoguerra a oggi. La triade istituzionale — Presidenza del Consiglio, Difesa ed Esteri — mi appare coesa. Ma una componente della maggioranza va un po’ da un’altra parte».
L’opposizione invece?
«Qui il problema è serio. Un’opposizione che non riesce a proporre una linea chiara di politica estera non è in grado di rappresentare un’alternativa di governo. In un contesto come questo, la politica estera non è un orpello, ma una necessità».
Generale, lei ha deciso di impegnarsi anche politicamente. Perché?
«Per senso del dovere civico. Dopo oltre quarant’anni nella difesa, credo che mettere a disposizione queste competenze sia una responsabilità. Inoltre, sento il bisogno di contribuire alla costruzione di un’area liberal-democratica, saldamente ancorata all’Europa e al legame transatlantico. Sono grato all’onorevole Luigi Marattin che mi ha individuato come responsabile Difesa nella segreteria del Partito Liberaldemocratico».
Con quale obiettivo?
«Costruire, anche nel lungo periodo, un’alternativa di governo credibile. Oggi, da cittadino, non riesco a riconoscermi pienamente in nessuna delle opzioni politiche esistenti. E come me tantissimi cittadini, come dimostra l’astensionismo crescente. Credo che l’Italia abbia bisogno di un pensiero liberale chiaro, serio e occidentale e di un soggetto politico che dica, sul piano internazionale, le cose come stanno».
Del suo collega, il Generale Vannacci, cosa pensa?
«Io e Vannacci siamo agli antipodi, sia come militari che come orientamento politico. Il suo partito, la Lega, è sempre quello di Roma Ladrona e di Prima il Nord. Io non dimentico e sono fieramente meridionale. Come militare non ho condiviso il suo comportamento quando ha consapevolmente coinvolto l’Esercito nella sua discesa in campo. Ad un militare è consentito scendere in politica, ma prima di farlo smette l’Uniforme».
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