Cultura
Il Minotauro burocrate e manager
C’è un termine che studiosi di diritto amministrativo e scienza dell’amministrazione si sono trovati con crescente frequenza a dover maneggiare nei loro studi; l’ircocervo. Favolistica figura ibrida tra capro e cervo, nell’asettico linguaggio del diritto ha preso a indicare la commistione tra strumenti pubblicistici e figure derivanti dal settore privato. Lorenzo Castellani, docente alla LUISS, nel suo ultimo saggio edito da LUISS University Press, sceglie un’altra figura mostruosa ma parimenti ibrida, quella del Minotauro, per descrivere quell’apparentemente inarrestabile percorso di saldatura tra logiche pubbliche e logiche private che governa l’azione amministrativa e il potere della sfera pubblica.
E dato che l’innovazione, in qualunque settore, è prima di tutto storia di uomini, nella ampia premessa Castellani ricostruisce il ruolo e il peso esercitato, principalmente nell’anglosfera, da alcuni grand commis, esperti, consulenti che più di altri hanno saputo modellare e perimetrare il ruolo del management nelle complesse organizzazioni, tanto private quanto pubbliche.
Del pari, ogni organizzazione esprime le proprie regole, spesso del tutto prescindenti dalla logica razionale ed umana: l’autore cita come esempi il romanzo russo distopico ‘Noi’, ‘Il mondo nuovo’ di Huxley, l’orwelliano ‘1984’ e naturalmente quello che è uno dei più solidi affreschi etologici di una organizzazione aziendale situata lungo la linea di confine tra pubblico e privato, ‘Fantozzi’, cui potremmo aggiungere la desolata Gormenghast di Mervyn Peake e la iper-cavillosa Erewhon, affrescata dalla penna di Butler.
In ognuno degli esempi citati da Castellani, e nei due aggiunti qui, l’organizzazione è tanto necessità quasi metafisica quanto feticistico bisogno, utopia e al tempo stesso distopia. Il punto che è l’apertura di organizzazioni ossificate come quelle statali alla accelerata complessità del presente, intessuto di digitale, globalizzazione, mercati finanziari, impone sfide nuove e modelli organizzativi parimenti nuovi.
Le sedicenti privatizzazioni del rapporto di pubblico impiego, la managerializzazione della dirigenza, l’innesto di strumenti come valutazione della performance o new public management sono indicatori privilegiati di questa tendenza, ormai irrinunciabile.
Governare il mondo contemporaneo seguendo ancora le direttrici imbardate del Monsù Travet sarebbe folle. E non per caso, al management pubblico e alla industrializzazione dei processi organizzativi del pubblico sono ormai da tempo dedicati master, studi, riviste, come la pregevole Rivista italiana di public management, diretta da Luigi Fiorentino e Elisa Pintus, con una crescente attenzione di opinionisti e di decisori politici.
Castellani ripercorre anche il lato oscuro e potenzialmente dispotico della managerializzazione, e delle sue radici; da certe teoriche di Henry Ford a quelle preoccupanti del management tedesco derivanti direttamente dai modelli organizzativi delle SS, riaggiornati alla democrazia da Reinhard Höhn che delle SS fu ufficiale e a cui Chapoutot ha dedicato lo splendido ‘Nazismo e management’ (Einaudi). E proprio dalle parole di Höhn ecco emergere l’ombrosa fisionomia del Minotauro, metà burocrate pubblico metà manager privato.
Percorrendo la fenomenologia storico-semantica della figura stessa del manager, Castellani illustra anche il non pacifico e complesso rapporto tra capitalismo e Stato, tra inventiva privata, desiderosa di libertà, e regolazione pubblica, al contrario bramante la irreggimentazione della società.
Non possono poi mancare le premesse storiche dello Stato manageriale e la tassonomia della burocrazia nell’epoca del management, le basi strutturali di questa ibridazione mostruosa e naturalmente gli spunti di tensione tra logiche che pur sintetizzate tra loro continuano a percepirsi come antagoniste, fino alla conclusiva, tormentata ricerca di un nuovo paradigma di gestione che sappia far fronte alle sfide di un mondo complesso e accelerato.
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