Esteri
Il mondo è in frantumi, ora serve una nuova architettura globale
Il 2025 è iniziato da appena sei mesi, eppure sembra già un concentrato di storia. Eventi epocali, immagini iconiche, scosse globali. Non è solo un anno intenso. È l’ennesimo scatto di un tempo storico che corre senza freni. E chi non tiene il passo resta indietro. Lo sanno bene le generazioni più giovani, già ribattezzate “Recessionals” dal Financial Times nel pieno della pandemia. Generazioni che vivono costantemente, a ritmo bulimico, fatti epocali, senza precedenti: il crollo finanziario del 2008, la pandemia del 2020, la guerra in Ucraina, la crisi energetica. Ora, una nuova guerra commerciale globale in piena gestazione.
La solitudine è diventata la minaccia centrale della crisi della salute mentale delle nuove generazioni
Schiacciati fra Usa e Cina assistiamo alla nascita di un nuovo ordine mondiale. Il contesto internazionale sempre più complesso ci obbliga a rafforzare le alleanze, promuovere il dialogo ma soprattutto definire, chiarire e condividere una visione del futuro. La parola globale dell’anno però è già identificata nel termine “incertezza”. Quando è l’incertezza a governare – in politica come sui mercati – gli orizzonti si accorciano, la propensione al rischio si riduce, con la conseguenza di proteggere il presente, sacrificando il domani dalle tinte troppo indefinite. Si tende a chiudersi. Nel protezionismo economico. Nel proprio recinto. A volte anche in sé stessi, rinunciando alle ambizioni personali e globali. E in questo scenario, la solitudine è diventata la minaccia centrale della crisi della salute mentale delle nuove generazioni.
È tornato il momento della strategia
Potrà sembrare controintuitivo, ma è invece proprio in questi contesti che bisogna tornare ad alzare lo sguardo verso orizzonti distanti da noi. “Pensare non al futuro, ma ai futuri”. Diversi, variabili, imperfetti, che possono comporsi davanti a noi. Progettarli come se fossero certi per poi accettarne la natura aleatoria: implementare policy, costruire competenze, modificare modelli di business, cambiare normative per arrivare pronti al futuro. A schiacciare media e politica non sono stati i social o il digitale, ma la prevalenza della tattica spiccia, immediata, che media e politica hanno ricercato sui social e sul digitale per guadagnare consenso o ricavi, finendo – in molti casi – per perdere gli uni e gli altri.
È arrivato, forse sarebbe meglio dire che è tornato, il momento della strategia. Della capacità di sognare in grande. Di fare qualcosa, come ha esortato il Presidente Draghi qualche settimana fa. Fare qualcosa, possibilmente in grande. Di radicalmente diverso dal passato perché il mondo che noi viviamo è radicalmente diverso da quello di ieri. Ora è il tempo di “passare dal perché al come”, dalla awareness alle policy, dalla definizione dell’agenda alla definizione del set di cambiamenti di policy, di modelli di business, culturali, di competenze necessarie alla gestione del futuro. Il rapporto dell’Istat ci consegna la fotografia di un Paese tra i più ostili ai più giovani nel mondo del lavoro, con laureati tra i quartili di reddito inferiori e una famiglia su tre con capofamiglia under 35 a rischio di povertà o esclusione sociale. Tra i tanti da immaginare, questo è un futuro che nessuno vuole e per cui vale la pena che aziende, politica e media lavorino insieme.
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