Le Ragioni di Israele
Il neo-antisemitismo della (finta) critica a Israele
Questa è la definizione di antisemitismo adottata ormai molti anni fa da International Holocaust Remembrance Alliance e fatta propria da moltissimi Paesi, Italia compresa: “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto”.
Come si vede, essa non limita in nessun modo il diritto di “criticare Israele”. Le “critiche” cessano tuttavia di essere legittime, e possono assumere tratti antisemiti, quando si rivolgono contro lo Stato degli ebrei e contro il popolo di Israele non per ciò che l’uno o l’altro fanno, ma per il fatto che si tratta di quel popolo e di quello Stato. Succede quando si pretende da Israele ciò che non si pretende da altri. Quando si giudica Israele secondo canoni diversi rispetto a quelli adottati per giudicare altri. Quando si applicano soltanto a Israele regole che dovrebbero valere per tutti, mentre per chiunque altro sono sistematicamente mandate in desuetudine.
Ma la definizione di antisemitismo di IHRA non riguarda affatto in modo esclusivo le presunte “critiche a Israele”, di cui è appunto sottolineata la piena legittimità. Molto più precisamente, quella definizione si propone il compito di individuare un perimetro in siano inclusi comportamenti certamente antisemiti e da cui siano esclusi quelli che invece sarebbe improprio considerare tali. L’operazione definitoria è importante perché il rischio (opposto a quello che lamentano i critici) è che siano legittimati tramite scappatoie nominalistiche atteggiamenti di sicuro pregiudizio antisemita. Se ci si riferisse solo alla “razza” si adotterebbe un criterio inadeguato e – per fortuna – inattuale, e si legittimerebbe la discriminazione antisemita di stampo religioso. Se ci si riferisse solo a quest’ultimo profilo, si legittimerebbe la molestia antisemita che pretendesse di assolversi sulla mancanza di riferimenti alla razza. Eccetera. Ecco perché la definizione ha il (diverso) tenore che sopra abbiamo ricordato.
Bene, l’isterica sollevazione cui si è assistito a causa della presentazione di una proposta di legge che fa proprio quell’apparato definitorio non prende di mira, in realtà, le norme di cui si propone l’adozione. Non si tratta, cioè, di critiche alla proposta di legge: si tratta del ripudio di quella definizione da parte di coloro che pretendono impunità per l’antisemitismo travestito da “critica a Israele”. Cioè cacciare gli ebrei dalle università, molestare i clienti israeliani nei ristoranti sventolandogli in faccia il “genocidio”, appendere cartelli “antisionisti” sulle vetrine dei negozi e sulle entrate delle spiagge, organizzare il benvenuto ai turisti israeliani che atterrano in Italia con orde di manifestanti che li accolgono a suon di “Fuck Israel”. E via di questo passo Tutti comportamenti d’odio antiebraico puntualmente giustificati alla luce del diritto intangibile di “criticare Israele”.
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