Esteri
Il partito democratico elegge un sindaco a Miami. Stoccata a Trump, ma il dominio repubblicano resta solido
Con il 60% delle preferenze, la dem Eileen Higgins trionfa nella metropoli della Florida. Rispetto a 4 anni fa uno “swing” di quasi 40 punti, ma a livello statale il gap è ampio
Dopo quasi 30 anni, il partito democratico elegge un sindaco a Miami. Nelle scorse ore, infatti, si sono tenute le elezioni comunali, che hanno visto la rappresentante locale Eileen Higgins superare il candidato repubblicano Emilio Gonzalez con il 60% dei voti circa. È rilevante segnalare che nelle scorse elezioni, tenutesi nel 2021, i repubblicani avevano vinto con l’80% dei voti circa.
I numeri potrebbero sembrare assurdi, con uno swing di quasi 40 punti in 4 anni, ed effettivamente i margini della vittoria della Higgins sono molto alti rispetto alla media e rispetto al trend generale della Florida, che negli ultimi 10 anni si è spostata considerevolmente verso il partito repubblicano. È importante, al tempo stesso, tenere conto dei numeri assoluti della campagna elettorale: a livello complessivo, infatti, sono andati al voto solamente 37239 cittadini, su una base di circa 180 mila “registered voters”. La campagna della Higgins ha seguito i temi che dominano il dibattito pubblico americano, partendo dal livello dei prezzi, passando per la questione abitativa e per il bilancio comunale, su cui si è registrata un’intesa bipartisan rispetto alla necessità di pareggiare i conti.
I repubblicani avevano investito in termini di comunicazione, con Gonzalez che aveva ricevuto l’endorsement del Presidente Trump, oltre che dei due Senatori repubblicani, di Byron Donalds, attualmente deputato e papabile candidato governatore per sostituire Ron DeSantis. Nell’altro campo si sono mobilitati Ramh Emanuel, ex sindaco di Chicago, deputato, poi capo staff del Presidente Obama, oltre a Ruben Gallego, il senatore moderato dell’Arizona. Le riflessioni che si possono fare sono almeno due. In primis, il dominio repubblicano sulla Florida non è a rischio, almeno per adesso. A livello statale, infatti, i repubblicani godono di un vantaggio enorme in termini di elettori registrati, e le elezioni si sono svolte in un contesto urbano, dove il messaggio dei democratici riesce tendenzialmente ad arrivare in modo efficace a livello nazionale.
La seconda riflessione che si può fare riguarda invece il partito democratico, che sta dimostrando, almeno a livello statale e locale, di essere in grado di saper vincere, in particolar modo quando i candidati si tengono a debita distanza da quelle battaglie culturali che fin troppo spesso, nel corso degli ultimi anni, hanno offerto innumerevoli armi d’attacco comunicative ai repubblicani. In altre parole, i democratici vincono (o migliorano molto la loro performance) quando parlano di prezzi, di salari, di quelle che vengono comunemente definite le “kitchen table issues”.
Sembra essere questa l’arma che i democratici sfrutteranno, anche in vista delle prossime elezioni del 2026, soprattutto se si pensa che Donald Trump, dopo aver fatto dell’inflazione dell’era Biden una tragedia, ha dichiarato che la “affordability crisis” non esiste. A Miami ha funzionato, tra meno di un anno sapremo quanto replicabile risulterà questo modello.
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