“Nella destra ci sono profonde divisioni e una fortissima rivalità tra i partiti. Né Berlusconi né Salvini accettano di buon grado l’ipotesi che sia la Meloni a prevalere nella loro competizione interna o che esprima addirittura una candidatura seria a palazzo Chigi. La Meloni ha nei suoi due alleati i suoi principali avversari”. Stefano Folli, editorialista de La Repubblica, uno dei più autorevoli osservatori delle dinamiche politiche italiane e una delle penne più prestigiose del giornalismo, già direttore del Corriere della Sera e editorialista de Il Sole 24 ore, ha iniziato la sua attività giornalistica al timone de La Voce Repubblicana. In questa intervista con l’Avanti! della domenica fa una analisi a tutto campo della situazione politica e sulle alleanze, in vista delle elezioni politiche di settembre. Per Folli “il risultato delle elezioni non è scontato. L’esperienza insegna che già in passato partiti che erano convinti di avere in tasca la vittoria non hanno avuto i risultati sperati.  Chi vince le elezioni il 25 luglio non è detto che le vinca il 25 settembre”.

Il mosaico delle alleanze a destra si è completato, a sinistra invece restano più profonde le fratture tra le forze di sinistra che sperano ancora in un rientro dei 5S e l’area moderata di Calenda, con Renzi sullo sfondo. Cominciamo dalla destra. Con l’accordo raggiunto nelle scorse ore si è stabilito che la scelta del premier sarà di chi, tra Fdi Lega e Fi, prenderà più voti. Si alzerà a suo avviso la competizione tra i tre partiti e quindi il tasso di demagogia? 
E’ un accordo astuto quello fatto dalla destra perché i partiti che compongono quella coalizione  hanno dato l’impressione di aver risolto i loro problemi interni. In realtà è stato come mettere la polvere sotto il tappeto: ci sono profonde divisioni e una fortissima rivalità tra i tre partiti. Né Berlusconi né Salvini accettano di buon grado l’ipotesi che sia la Meloni a prevalere nella loro competizione interna o che esprima addirittura una candidatura seria a palazzo Chigi. La Meloni ha nei suoi due alleati i suoi principali avversari. E’ la premessa per una campagna elettorale dura, ma la destra non farà ai loro avversari il regalo di mettere in piazza le divisioni. Anzi, tentera’ di mascherarle.

A suo avviso, è possibile che sulla politica estera  – l’atlantismo di Meloni, i legami oscuri di Salvini con la Russia, le simpatie di Berlusconi per Putin e anche qualche ambiguità a sinistra –  si possa giocare parte della partita in campagna elettorale? 
Essere riusciti a porre la questione della politica estera, cioè dei rapporti con la Russia e dell’appoggio all’Ucraina, da parte del centrosinistra è stato un colpo abbastanza indovinato e può infastidire la destra, perché su questo punto è più difficile mascherare le divisioni, con Meloni che ha fatto una scelta atlantista e le ambiguità di Salvini e Berlusconi. La leader di FdI sa bene che in Europa, e non solo, la coalizione di centrodestra sarà giudicata sulla politica estera: è un problema molto serio fino ad adesso sottovalutato. Vedo il problema più in questo campo che non a sinistra: il Pd ha tenuto una posizione chiarissima sin dall’inizio sul sostegno all’Ucraina e incidono meno le posizioni ad esempio di Verdi e Sinistra Italiana, partiti ancora nostalgici dell’asse con il M5S, dove invece sussisteva in modo più serio il problema del rapporto con la Russia, implicito nella scarsa solidarietà con l’Ucraina.

La tentazione  di ‘giocare’ la campagna elettorale sulla retorica del fascismo – antifascismo è un tic della sinistra che rafforzerà Giorgia Meloni o a suo avviso la indebolirà?
E’ un tic antico della sinistra. In genere si riesuma questo argomento quando non si sa bene cosa proporre. Io non credo che questo tema possa cambiare di molto le carte in tavola. L’equazione vittoria del centrodestra e ritorno del fascismo è un’assurdità, lo lasci dire a un allievo di Renzo De Felice. Questo non significa che non si debba invitare la Meloni a chiarire certe zone d’ombra e gli elementi nostalgici che sono presenti nel suo partito. Lei stessa, usando una frase un po’ ad effetto, ha detto che “i nostalgici sono dei traditori della nostra causa”: se lo avesse detto qualche mese fa sarebbe stato meglio.

Enrico Letta ha il compito non facile di provare a sciogliere il rebus delle alleanze. E’ possibile un’alleanza  cosiddetta ‘elettorale’, oppure alla fine prevarranno le spaccature e ognuno andrà per se’? Si dice che la politica non sia aritmetica, e non quindi la somma delle percentuali dei partiti…
Se devo fare una previsione, credo che alla fine tutti andranno insieme per ovvio interesse elettorale, salvo Renzi su cui va fatto un discorso a parte. Questo non prefigura assolutamente un quadro di compattezza ma una alleanza elettorale se non tecnica: penso ad esempio alla lista di Calenda e di Bonino, che useranno questo tipo di alleanza per scavalcare la contraddizione con una sinistra nostalgica del rapporto con il M5S. Dopo le elezioni però si rischia di avere una riedizione del vecchio Ulivo, una bellissima idea che voleva mettere insieme tutti coloro che si richiamano a un campo progressista, che però non ha mai funzionato. Il rischio è che si ripresenti esattamente questa situazione, cioè un’alleanza tecnica in cui nessuno si sente impegnato a condividere una visione comune di Paese.

Diceva, il caso Renzi?
Renzi è molto scomodo per la base del Pd anche se i suoi voti, che non sono molti, possono essere necessari per affrontare alcune situazioni un po’ in bilico specialmente nei collegi del Senato, terreno più contendibile, dove il centrosinistra che parte svantaggiato potrebbe riuscire a recuperare terreno. Però la domanda da farsi e che si faceva anche Letta è quanti voti fa perdere al Pd se Renzi fosse aggregato al centrosinistra. E’ anche il dubbio di Renzi che non ha voglia di stemperare la sua immagine, già offuscata dai tantissimi errori commessi in questi anni.  Si rende conto che può avere un ruolo se riesce a distinguersi da quelli che vanno nella grande coalizione con la sinistra ed è tentato di andare per conto suo sperando di prendere il 5% sottraendo voti alla destra. Sulla carta la cosa è plausibile, in pratica è un obiettivo molto difficile. Teniamo d’occhio il fatto che potrebbe anche nascere, ma non ci metto la mano sul fuoco, un piccolo terzo polo eterogeneo in questo quadro in cui sembra che esista soltanto il bipolarismo a destra e sinistra.

In base a tutti i sondaggi, per la sinistra vincere le elezioni politiche sarà una missione mi possibile. Tuttavia, la ‘forza tranquilla’ del Pd di Letta lo ha premiato (penso a linea chiara sull’ Ucraina, la vittoria in tutti i comuni alle amministrative dove si poteva vincere…). C’è ancora tempo per il centrosinistra di mettersi in sintonia con il paese?
Il risultato elettorale non è affatto scontato. L’esperienza insegna che già in passato partiti che erano convinti di avere in tasca la vittoria non hanno avuto i risultati sperati.  Chi vince le elezioni il 25 luglio non è detto che le vinca il 25 settembre. La strada è molto in salita ma Letta, siccome rappresenta proprio quella forza tranquilla, ha delle carte da giocare. La sua debolezza è la necessità di mettere insieme questa coalizione che è molto contradditoria. La sua forza è però quella di essere percepito come partito del sistema, da cui non ti aspetti degli scherzi. La destra parte avvantaggiata dal fatto che questo è un paese che ha un sentimento fondamentalmente di destra. Va sottolineato che la parte moderata del paese, cioè i ceti produttivi, imprenditori, il tessuto cruciale del Paese,  non vuole avventure ma un governo che faccia quello che ha fatto il Governo Draghi.

E dell’esperienza Draghi cosa ne rimane?
Draghi rimane un po’ il personaggio sullo sfondo inafferrabile ma è lui il protagonista occulto di questa campagna elettorale: si deve decidere il futuro del Paese e non si può prescindere dal governo che è stato il più credibile della nostra storia recente. Su questo dovranno misurarsi gli schieramenti.